Cercando il Giappone a Parigi

Ho voluto smettere di contare i mesi che sono trascorsi dai miei ultimi giorni a Tokyo, così come ho smesso di monitorare le news quotidianamente alla ricerca di uno spiraglio che accenni un qualche tipo di riapertura anche per il turismo individuale. 

In realtà non ho però smesso di dare un’occhiata alle tratte aeree delle varie compagnie e agli alberghi abituali dove normalmente soggiorno.

Questi mesi (dovrei dire anni…ma sono pochi e la parola “ mesi” pare più leggera) di incertezza ed interrogativi hanno suscitato emozioni così altalenanti al punto che se vi fosse una trascrizione emotiva forse susciterebbero ilarità. Già, perché si passa da un “ma si dai, quando riapre riapre, intanto brindiamo al nuovo anno!!” ad un “chissà quando e se….. vabbè beviamoci su”.

Sempre in alcol finisce, ma con uno stato d’animo totalmente differente. Euforia e tristezza, entusiasmo e rassegnazione. L’altalena emotiva: che giostra meravigliosa, vero?

E intanto cosa si fa? Si vive il momento, si prende il meglio, si organizzano uscite, si va ad i concerti che hanno ripreso, si cena fuori, si passeggia in Darsena e si parte, si acquistano biglietti aerei e si pianificano escursioni in altre città europee meravigliose!!

Andiamo a Parigi? Yeah!!

2 volte a distanza di pochi mesi? Evviva.

Non vi narrerò della vacanza parigina di fine marzo, poiché questo è un blog sul Giappone. Quindi perché dovrei raccontare quella di questi giorni?

Poiché a Parigi esiste un frammento di Giappone in grado di scalfire il cuore di chi come me si era detto “e chi ci pensa a Tokyo? Quando sarà sarà, intanto Vive la France!!!”

Ed io la Francia la amo davvero tanto, chi mi conosce può testimoniare la mia adorazione nei confronti di questa nazione e di chi la abita.

Insomma, prima di partire vengo a sapere che c’è una libreria giapponese molto fornita (a quanto pare lo sapevano tutti i miei conoscenti tranne me), andiamo a farci un salto, è vicino all’Operà e dal momento che l’ultima volta non ero riuscita a vederla e le precedenti era tappata per lavoro è parsa l’occasione perfetta per acchiappare capre e cavoli!

Percorriamo il boulevard e quando sappiamo mancare poche decine di metri la pioggia incessante invita a fermarsi per un caffè, ovviamente all’aperto ma riparati dalle tende, mentre sorseggio il mio cafè creme mi accendo una sigaretta ed alzando lo sguardo leggo Takumi Cheesecake. Per un attimo rimango perplessa, guardo meglio e poco distante riconosco il logo di kuroneko yamato.

Takumi original Japanese Cheesecake

Terminiamo la pausa caffè e ci addentriamo nella strada della libreria, i palazzi sono quelli meravigliosi che sappiamo avere Parigi, eppure  le vetrine e le insegne sono un susseguirsi di kanji, hiragana e katakana che mi ritrovo a scorrere come fossi una bambina delle elementari che riesce finalmente a leggere il primo libro di favole. Anche i profumi sono quelli che escono dalle botteghe giapponesi. Un leggero senso di smarrimento unito alla sensazione di essere a casa, mi riesce davvero complicato descrivere a parole. 

Arriviamo alla libreria Junku, mi sembra di essere da Kinokuniya (grande catena di librerie molto presente sul territorio nipponico), dove al piano terra ci sono libri di ogni genere, riviste, manuali di lingua, libri per ragazzi e bambini, dizionari, sento un nodo alla gola mentre sfoglio una versione giapponese illustrata di Biancaneve. L’inconfondibile profumo della carta, il vociare soffuso delle commesse che parlano tra loro in giapponese, i bambini che si siedono a sfogliare grandi libri puzzle. Articoli da cancelleria, quaderni, qualche gadget. Andiamo al -1 ed eccoci praticamente all’Animate, dove ogni corridoio sembra un piano diverso dell’omonimo negozio. Non vedevo così tanti artbook tutti insieme dal mio ultimo viaggio, lo stupore nel trovarne di davvero recenti, edizioni speciali di manga, un super reparto yaoi (….il mio tallone d’Achille) e ancora quell’odore inconfondibile di carta giapponese.

Onestamente ho perso la nozione del tempo. 

Il piccolo tour è continuato tra altri negozi di vario tipo, dai botteghini di ramen alle panetterie in stile giapponese con gli immancabili kareepan e melonpan. Negozi di alimentari con le immancabili ramune ma dove ho trovato uno dei miei drink estivi preferiti: il mughicha (tè d’orzo, rinfrescante ed adatta anche ai più piccoli per via della mancanza di teina e caffeina).

Eravamo ormai entrati in questa spirale giapponese e non avevamo alcuna intenzione di uscirne, un po’ come bambini in un parco giochi “uh guarda: c’è lo shampoo tsubaki! Gli onigiri!! La fluffy cheesecake! L’oujicha! Rilakkuma! Ecc ecce cc”. 

Mugicha mon amour!!

E poi, sulle vetrine di molti negozi un piccolo poster: MATSURI, ma davvero? Un matsuri a Parigi? Ma quando? Proprio in questi giorni? Cosa fai, non ci vai? Ovviamente ci vai, anche se dista 2 ore a piedi ma siccome sei fermo sulla tua decisione di fare lunghe passeggiate nulla ti fermerà, nemmeno la strada che ad un certo punto diventa deserta e poi malfrequentata, nemmeno il campo di tossicodipendenti nel quale passiamo ignari e in silenzio (impauriti, tanto, ma ormai eravamo lì e il navigatore non forniva strade alternative) insieme ad altre due fanciulle in yukata che ci precedevano a passettini svelti di fronte a noi, e no, nemmeno la polizia che ci ha fermato una volta usciti dal campo per chiederci cosa facessimo lì in mezzo: gli abbiamo mostrato le locandine dell’evento e spiegato che eravamo turisti. Ci hanno praticamente detto che eravamo degli imbecilli ed eravamo stati fortunati, di fare una strada diversa al ritorno e tanti saluti.

Ma alla fine ci siamo arrivati al matsuri, e ne è valsa la pena! Non immaginate la classica festa dove si affiancano una dopo l’altra infinite bancarelle di cibo, si trattava comunque di un evento più piccolo, dove non mancavano ovviamente takoyaki ed altre leccornie, ma vi erano bancarelle di giochi in legno, kimono, spazi con dimostrazioni di karate, un ampio spazio per l’esibizione del taiko, un capannone interamente dedicato alle degustazioni di sake ed altro ancora. Ma, indipendentemente da questo, è stata proprio l’aria festosa a valerne la pena. Famiglie francesi e giapponesi con bambini che giocavano alla pesca dei pesciolini e si divertivano sotto un sole che ci ha regalato una discreta abbronzatura!

La locandina del Matsuri! Se ne avete voglia fate un giro su googlemaps a piedi per Parigi che vi conduca alla Cité Fertile!

Tra i vari stand presenti c’era anche quello della Japan Airlines, era l’unico senza coda e per un attimo mi ha sfiorato il pensiero di chiedere “si, bello che ci sia una tratta diretta ma…avete intenzione di riaprire a breve?” . Un pò per la paura della risposta, un pò perché i giapponesi non amano dare risposte negative, non me la sono sentita di ascoltare qualcosa di evasivo e ho tirato dritto. Chissà, forse non sono stata l’unica ad elaborare questo pensiero dato che come accennato non vi era nessuno a richiedere informazioni.

Insomma, questa vacanza ci ha regalato infine anche un pezzetto di Giappone, il che non fa che accrescere il mio amore già grande verso la città meravigliosa che è Parigi (nonostante lo spavento della zona sopracitata!).

Da un lato avrei potuto dilapidare una fortuna dato che in ogni singolo negozio (sopratutto in libreria) c’era qualcosa che mi piaceva ed interessava notevolmente, tuttavia a parte la mia bottiglia di mugicha non mi sono portata via nulla.

E’ difficile spiegare, da un lato sicuramente vi è il fatto che non avessi oggettivamente bisogno di nulla (quando mi servono creme o altro mi arrangio comunque con gli acquisti dal Giappone e gli amici che abitano lì mi danno una mano), ma non credo si sia trattato solo di questo. A pensarci ora credo che in cuor mio ci fosse il silenzioso augurio “aspetta, compralo a Tokyo, adesso in realtà non ti serve”.

Quindi, nonostante i buoni propositi del non pensarci troppo e non pianificare fintanto che non vi sono certezze, è evidente che il sentimento nostalgico c’è e si fa sentire, diversamente non avremmo trascorso tante ore in queste zone e sopratutto non ne saremmo usciti a mani vuote.

E’ stato un piccolo viaggio nel viaggio, un’esperienza dolce ed avvolgente come la fluffy cheesecake di Osaka, che non vedo l’ora di mangiare quando tornerò a volare oltreoceano.

Se avete intenzione di passare per Parigi e vi manca il Giappone concedetevi questa piccola escursione etnica, ne varrà sicuramente la pena vi regalerà una dolce sensazione di deja vu!

Ho citato solo alcuni dei posti a tema giapponesi in città, e postato pochissime foto perché non ne ho fatte altre, mi sono goduta in prima persona profumi, sapori e colori lasciando lo smartphone in borsa ma se avete bisogno di approfondimenti o informazioni chiedete tranquillamente o navigate on line, ci sono tantissime informazioni a riguardo!

Cronache di un gatto viaggiatore – Arikawa Hiro


Normalmente attratta dalla copertina (gatto + autore giapponese) mi sarei soffermata a leggere la seconda e la quarta di copertina solo per proforma prima di procedere verso la cassa; la mia testa infatti aveva già deciso l’acquisto senza soffermarsi su lunghe riflessioni. (lo stesso vale per i titoli che abbinano il caffè al Giappone/autori nipponici); si: mi rendo conto di essere una mente estremamente semplice talvolta. Tuttavia mentre passava quella frazione di tempo, la mia amica del cuore che mi stava accompagnando era già in cassa con il libro in mano, pronta a regalarmelo!
 
Questo romanzo è meraviglioso. Come un gatto che passeggia a passo felpato, la narrazione di Arikawa ci accompagna dolcemente lungo un viaggio dove l’amicizia è protagonista incontrastato di questo racconto.
 
Nana è un giovane gatto randagio che vive  alla giornata, ama addormentarsi sul cofano di una station wagon e spesso si lascia fare qualche carezza da un umano che gli lascia del cibo. Fintanto che non viene malauguratamente investito da un’auto durante i suoi vagabondaggi. A salvarlo e a prendersi cura di lui sarà Satoru, il proprietario della station wagon tanto comoda.
Entrambi, umano e gatto, da tempo non permettono agli altri di avvicinarsi facilmente, ma con il tempo e la fiducia il loro rapporto cambia, fino a diventare speciale.
Arriva però un momento nel quale Satoru capisce che non potrà più occuparsi di Nana, decide pertanto di intraprendere un viaggio tra le sue amicizie di vecchia data, proprio con  l’intento di trovare un nuovo padrone per l’amato felino.
E’ dolcissimo il modo in cui i rapporti umani vengono trattati, i vecchi amici del protagonista e il ruolo che ciascuno ha avuto nella vita dell’altro. Si accorciano le distanze tra il lettore e i protagonisti pagina dopo pagina.
Non voglio raccontarvi tutto quello che è scritto in seconda di copertina, se potete anzi non leggetela e lasciatevi accompagnare da Nana e Satoru lungo questo viaggio attraverso il Giappone; sarà dolce, intenso, e quasi sicuramente vi commuoverà e farà riflettere sul dolore della perdita e i legami importanti, sull’accettare l’ineluttabilità della vita nei momenti più drammatici e trarne comunque conforto. 
Il riassunto infatti svela troppo a mio avviso, trattandosi di una lettura estremamente scorrevole non occorre spoilerarsi nel dettaglio i moventi dei vari personaggi, a partire da quelli di Satoru, anzi lasciamo che ci vengano svelati a poco a poco.
 
Il punto di vista felino come voce narrante è frizzante, non possiamo non ritrovarci a sorridere o scuotere la testa in certi passaggi, persino in quelli più toccanti. 
 
Se volete divertirvi ed al contempo emozionarvi, se amate i felini, se avete voglia di vedere il meraviglioso Giappone, il monte Fuji, il mare, la neve e l’arcobaleno attraverso gli occhi di un gatto allora preparate un pacchetto di fazzolettini ed una tisana dolce, poi partite anche voi a bordo della station wagon, sarà bellissimo, per quanto possa valere, è una promessa.
 
 
 
 
 
 

Un tè con biscotti a Tokyo – Julie Caplin

Ammetto che mi sono fatta attrarre dal titolo e dalla copertina colorata in un momento di malinconia dettata dal fatto che sono due anni che non posso partire per il Giappone, mentre vagavo per una libreria del centro dicendomi “hai a casa una pila di libri in attesa, non serve comprarne altri” ma la curiosità mi ha spinta altrove e dunque ho ceduto!

Sapevo perfettamente che si trattava di un romanzo leggero, ma ammetto che non credevo fosse così intriso di stereotipi da letteratura rosa. Sia chiaro, non ho nulla contro questo genere, ho letto con passione tutti i libri di Lucinda Riley ma diciamo che ecco, parliamo di un livello decisamente differente.

“Un tè con biscotti a Tokyo” è sicuramente una lettura scorrevole (iniziato e finito in una giornata oziosa). Fiona, la nostra protagonista è una blogger e fotografa di Instagram ed ha vinto un concorso con tanto di viaggio di due settimane a Tokyo, dove deve lavorare a degli scatti da esibire poi in una mostra londinese. Purtroppo chi dovrebbe farle da mentore (un famoso fotografo giapponese) ha avuto un lutto in famiglia ed al suo posto manda in missione niente meno niente meno che la prima fiamma della nostra beniamina, altro fotografo di fama internazionale, ovviamente alto, bello, con fisico da copertina (senza bisogno di praticare sport – per sua stessa ammissione) e gli occhi blu come il cuore dell’Oceano di Rose. Ah, ovviamente non solo è bellissimo ma ha, (ovviamente) una storia travagliata alle spalle, ha perso fiducia nell’amore, è arrogante ma con quella punta di ironia che tanto piace alle donne (?).

Ciliegina sulla torta: è colui che ha “rovinato” la vita della protagonista quando lei aveva solo 18 anni e lui insegnava all’università da lei frequentata, questo perché un giorno lei lo ha incontrato in corridoio e lo ha baciato, una compagna li ha visti mentre lui si scostava da lei (in quanto non si fa!) ed ha raccontato a tutti che la povera Fiona è stata respinta dal professore bello e famoso. Questo episodio ha segnato in modo indelebile la nostra protagonista. Fatto sta che a 10 anni da questo episodio i due si rincontrano e lui non si ricorda di lei fino a quando fa caso al suo colore di capelli, lei è tutta un “resisto, non mi piace, era solo una ragazzata” per poi soffermarsi sulla descrizione dei peli delle braccia di lui quando sono seduti vicini. Ovviamente lo trova saccente, insopportabile ed arrogante…ma mamma mia che occhi blu che ha!

Il resto non mi pare giusto raccontarvelo onde evitare di rovinarvi la lettura.

Ma… c’è un ma! Al di là dei due protagonisti a mio avviso insopportabili c’è la famiglia giapponese che ospita Fiona dove invece sembra esserci dell’intelligenza e della coerenza nei comportamenti. Le tre donne di questa famiglia infatti (la nonna, la madre e la figlia sedicenne) riescono infatti, con le loro parole misurate a trasmettere al lettore qualche nota di Giappone, ovviamente non manca qualche stereotipo ma nel complesso risultano piacevoli e sopratutto credibili.

Se vi piacciono gli shojo manga questo romanzo potrebbe decisamente piacervi, se volete una storia d’amore leggera, senza grandi colpi di scena e abbastanza intuibile già da pagina 10 anche. Se però volete uno scorcio di visita a Tokyo vissuta da una turista casuale estremamente fortunata credo si possa trovare di meglio. La città ci viene descritta infatti in modo sommario e superficiale, fatta eccezione per il famoso incrocio di Shibuya (forse perché durante la trama la nostra protagonista ci torna) ed un paio di ristoranti; ma è pur vero che il romanzo non ha (credo) la missione di trasmettere la voglia di visitare il Paese del Sol Levante. Diciamo che la storia si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altra metropoli del mondo ed avrebbero mangiato qualcosa di diverso dal sushi e la tempura.

I brevi accenni alla cerimonia del te e alla vestizione del kimono sono estremamente fugaci ma ripeto, è chiaro che non volevano essere questi i punti salienti.

Insomma questo romanzo non mi ha convinta e conquistata, forse avrei preferito un approfondimento culturale maggiore, forse un protagonista maschile locale avrebbe fatto la differenza o avrebbe messo un pò di divertimento. Bello andare a vedere i Sakura, il monte Fuji e l’incrocio…..ma Tokyo è anche molto altro, si va al Robot Restaurant senza nemmeno una menzione del quartiere in cui si trova (sta infatti a Kabukicho, la zona a luci rosse e dell’intrattenimento di Shinjuku), ma forse pareva brutto che a portarla lì fosse stata la sedicenne della famiglia?

Infine, e forse qui mi ripeto, avrei apprezzato un approfondimento migliore dei comprimari, non solo la famiglia ospitante ma anche la madre di Fiona (che per tutto il libro fa la parte della mamma rompiscatole ipocondriaca che manda sms ogni 4 minuti e miracolosamente a 10 pagine dalla fine si risveglia grazie ad una conversazione telefonica di pochi istanti avuta giorni prima con la mamma che aveva ospitato la protagonista)!

Non mi sento di consigliarlo a chi non ama la letteratura rosa leggera in generale.

ps: biscotti non pervenuti

Titolo: Un tè con biscotti a Tokyo

Autore: Julie Caplin

Editore: Newton Compton Editori

Nostalgia [coming] out

La nostalgia non è necessariamente un sentimento sfumato, talvolta arriva come uno schiaffo ma in quel momento non la si riconosce come tale. 

In questi mesi, in cui i miei post si sono limitati a recensioni di alcuni libri letti, sono accadute molte cose, sia a livello personale che lavorativo, ovviamene ne sono successe a livello mondiale e chi segue questo blog sicuramente ha in comune la passione o la curiosità nei confronti del Paese del Sol Levante che, come sappiamo, ha ormai chiuso da oltre un anno i suoi confini turistici.

Quando sono partita per quattro fugaci giorni a gennaio 2019 ho messo il mio decissattesimo timbro ma avevo già in tasca un biglietto per fine aprile, certo non pensavo che si sarebbe trasformato in un voucher che ad oggi non so ancora quando potrà essere utilizzato.

Mentre scrivo mi lascio trasportare dalle note del mio artista preferito, pertanto non so in quale direzione potrà virare con esattezza il contenuto di questo articolo, vediamola come uno sfogo temporaneo.

Mi sono arrabbiata così tante volte in questi mesi, incapace di contrastare il senso di frustrazione, ed altrettante mi sono detta “Adesso è così, non puoi cambiare lo stato delle cose ma puoi vivere il momento e accettare, ottimizzarlo senza aspettare necessariamente qualcosa che potrebbe succedere”.

Mi sono ritrovata a pianificare il “prossimo viaggio” almeno una decina di volte, pensando che sarei dovuta assolutamente tornare in quel caffè nascosto di Harajuku e poi a cena di fronte al palazzo del governo a Shinjuku. 

Ho pianificato giri mirati agli acquisti inerenti il lavoro, gli eventi ai quali partecipare ed eventuali piccoli investimenti da effettuare. 

Ho pianificato persino il trattamento lisciante alla keratina da applicare prima di partire per evitare che l’umidità mi rendesse prossima ad un cagnolino bagnato al primo sentore di umidità.

Gli incontri con gli amici che non vedo da tantissimo tempo, la mia “nipotina” acquisita ha un anno mezzo ed io avrei dovuto conoscerla e spupazzarmela prima dei tre mesi, adesso trotterella ed è una pagnotta. 

Normalmente a settembre pianifico il calendario sia lavorativo che i viaggi da ottobre e per tutto il primo semestre dell’anno successivo.

La realtà è un’agenda vuota. 

Un’agenda intonsa che pesa quanto una Smemoranda dei tempi del liceo pur essendo priva di contenuto. 

Credo che in tutti questi mesi ciò che più mi abbia destabilizzata sia stata proprio questo, unito al fatto che il mio lavoro è essenzialmente sociale, pur svolgendolo in solitudine e tranquillamente nel tanto in voga “smart working” per il 70 per cento, vi è tutta una parte legata ai meeting ed eventi che è venuta totalmente a mancare. Capire cosa vogliano i clienti e non potercisi relazionare personalmente si è rivelato molto complesso.

Ho cercato di sorridere e pensare almeno una volta alla settimana che i problemi seri erano altri, che comunque sono nata in una delle parti più fortunate del mondo e che anche circa l’epoca non ho effettivamente nulla di cui lamentarmi seriamente.

Si certo, mi mancano i concerti, tuttavia non saranno mica queste le serie preoccupazioni, semmai grattacapi da poco.

Così, a settimane alterne l’umore virava da una serena accettazione ad una scalpitante sofferenza.

“Smettila di pianificare, aspetta e poi farai”

“Si ma dai, almeno l’evento di settembre posso metterlo giù”.

Fino al 3 di giugno, mattina in cui guardavo gli orari dei voli da prenotare a mia madre che avrebb raggiunto mio padre in Sicilia per il periodo estivo.

Pregustavo quel 3 giugno da settimane, avrebbero rilasciato finalmente il nuovo film di Sailor Moon su Netflix e avrei passato una giornata fantastica con i miei affetti più cari tra cui un amico meraviglioso di lunga data e che ho incontrato quasi 20 anni fa proprio grazie al comune amore nei confronti dell’animazione.

Un pranzo alla mia amata rosticceria giapponese G81 di Corso Garibaldi e una serata a base di strong al pompelmo rosa e Sailor Moon.

La sera la chiamata di mia madre e l’improvvisa scomparsa di mio papà. Il giorno dopo ero in volo verso Catania con il cuore irrimediabilmente spezzato.

Se dicessi di stare bene adesso mentirei, tuttavia ho ancora una famiglia ed ho ancora me stessa, e la mia vita, fintanto che mi sarà concessa. 

Pertanto oggi riacquisterò una nuova agenda, probabilmente non sarà fitta di attività a lungo termine, ma ci sono così tante cose da fare anche nel breve termine ed io voglio viverle e vivere.

Non conto i giorni passati a rotolarmi sul divano pensando “dovrei leggere, dovrei studiare, dovrei rispondere ai messaggi, dovrei pulire, dovrei fare la spesa, dovrei …dovrei…tra 10 minuti”.

Credo sia normale concedersi un po’ di sana noia ma sono il tipo di persona che non si annoia mai, nemmeno quando sta ferma.

Ho persino rifuggito l’ascolto della musica quando in realtà sapevo mi avrebbe fatta stare meglio.

Il fatto è che talvolta è così facile crogiolarsi nel proprio malessere e tutto il resto sembra così dannatamente faticoso.

Ma pur essendo un individuo a se stante ho degli affetti a cui non posso negare il mio benessere perché infondo siamo tutti collegati e sono consapevole che la loro tranquillità dipende in parte da me. 

Non si tratta di forza, nemmeno di responsabilità, ma banalmente di amore credo.

Continuerò a sentire la mancanza di mio padre ma utilizzerò la sua fotocamera allo sfinimento.

Soffrirò la nostalgia di Tokyo fintanto che non potrò partire ma fino a quel momento ho i miei adorati libri e la musica, posso leggere, recensire e viaggiare con la mente.

Devo riprendere a studiare giapponese, non “da lunedì” ma da adesso. No, non devo: voglio.

Così come voglio riprendere a mangiare nella maniera in cui mi fa sentire davvero meglio.

Prendermi cura di me e volermi bene perché lo merito, e lo merita chi mi sta intorno, persone vicine ma anche clienti e conoscenti, partner lavorativi e persone con cui mi relaziono anche solo per bere un caffè al bar.

Con i miei tempi, i miei ritmi, non sarà mai quella che si alza la mattina presto per seguire una tabella di marcia serrata, non sono nemmeno in grado di ottimizzare i tempi e ho costantemente bisogno delle mie pause sigaretta.

Vorrei anche sistemare questo blog in modo che i vari post siano più facili da individuare ma non credo di esserne in grado, non da sola almeno…. La tecnologia ed io viaggiamo su due binari paralleli che difficilmente si incontreranno in questa vita, sono una di quelle che ha un IMac ed un IPhone perché sono rosa ma ne sfrutta una percentuale esigua del loro potenziale. 

Una cosa alla volta, convivendo con le soddisfazioni e la malinconia che fanno parte del mio essere viva. 

Lo Studio Alta sarà ancora davanti ai miei occhi un giorno e so già che si colmeranno di lacrime suscitando l’ilarità di chi sarà con me in quel momento. Pazienza, io sono quella che piange ai concerti.

Piango anche con i videogiochi, a settembre uscirà Lost Judjment e sto già covandolo!!

Credo che questo post sia il risultato di un connubio voce (di Yukiya Fujita ovviamente) e ice coffee (ho finalmente trovato un posto a Milano dove lo fanno esattamente come piace a me)

“Forse dovevi continuare a non ascoltare l’uomo nero così ci evitavi questo pippone”. 

Domani posterò la recensione di “Le Bugie del Mare”.

Mi rimangono ancora 4 giorni di vacanza ed ho intenzione di gustarmeli appieno!

Basta un caffè per essere felici – Toshikazu Kawaguchi

L’autore del pluripremiato “Finchè il caffè è caldo” torna a regalarci delle nuove magie accarezzando delicatamente il nostro cuore e, perché no, consolandolo e provando a darci spunti per superare momenti difficili, dolori irrisolti e perdite inconsolabili.

Se è vero che pur tornando nel passato il presente non può essere cambiato, è altresì vero che che il nostro futuro potrà essere diverso da quello che ci eravamo prospettati. Sembra un’equazione difficile eppure è tutto lì, nella durata di un caffè che ci permette.

Le regole sono rimaste invariate:

1. Sei in una caffetteria unica e speciale, aspetta che la Signora vada in bagno, lo fa una volta al giorno
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi e non alzarti dalla sedia.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

Potenzialmente questi libri potrebbero essere infiniti, e l’autore potrebbe raccontarci tante altre storie che si svolgono in questa piccola caffetteria dove il tempo assume un significato diverso, i cellulari non prendono ed ognuno ha una vita di cui ci mostra generosamente qualche sprazzo.

Personalmente sarei curiosa  di leggere altre storie e vedere come cresce la piccola Miki, ma nulla ci vieta di rileggere queste piccole perle se ne sentiamo la mancanza.

Proprio come il precedente, anche questo libro ci regala una boccata di positività pur commuovendoci, inoltre approfondiamo la conoscenza di chi vive e lavora all’interno del caffè, la verità circa la Signora in Bianco e molto altro.

Vi consiglio di leggere comunque prima “Finchè il caffè è caldo” se non lo avete ancora fatto, perché sebbene le vicende qui siano legate a persone diverse, andiamo davvero ad approfondirne di note!

Per tutte le età, per tutti coloro che hanno una piccola o grande ferita, per tutti, davvero, perché dopotutto, chi non ha di tanto in tanto bisogno di un buon caffè?

Autore:

Toshikazu Kawaguchi

Traduttore:

Claudia Marseguerra

Editore:

Garzanti

Collana:

Narratori moderni

Anno edizione:

2021

La Fabbrica – Oyamada Hiroko

Prima lettura di queste vacanze estive, non conoscevo l’autrice prima di questo romanzo e ne sono rimasta piacevolmente colpita.

Me la sento di suggerirlo non solo a chi si appresta a muovere i primi passi nel mondo del lavoro, ma anche a tutta quella fascia di mezzo troppo “adulta” per talune posizioni o troppo inesperta per altre, a tutti coloro i cui genitori hanno ripetuto per anni “se ti prendono lì sei a posto per la vita”.

A tutti coloro che hanno scoperto le agenzie interinali al loro sbocciare e ne sono rimasti incastrati ancora oggi dopo 20 anni.

Che cosa vuol dire essere un precario?

Quante volte ci siamo sentiti solo un piccolo ingranaggio senza nome all’interno di un processo più vasto? E se questo processo del quale non vediamo né confini né fine non ci mostrasse nemmeno il suo obiettivo produttivo?

Una ragazza dalle 9 del mattino alle 17,30 distrugge documenti avvalendosi di una macchina trita fogli. E’ facile, non serve pensare, non occorre preparazione, indossa il grembiule e infila i fogli, quando terminano ne arriveranno degli altri. “Si prega di non dire a nessuno a quale reparto è stata affidata ed in cosa consiste esattamente la sua mansione, contiamo sulla sua professionalità”.

Un ragazzo viene assunto come correttore di bozze, chiuso nel suo quadrato senza contatto con il resto dei colleghi, la sua penna rossa per le annotazioni, le ore si susseguono l’una dopo l’altra senza comprendere il senso di quello che passa sulla sua scrivania, le bozze talvolta si ripetono, altre sono già state corrette; “fallo con attenzione ma se sbagli qualcosa non è poi così grave, comunque firmali dopo la revisione”.

Un ricercatore viene improvvisamente allontanato dall’università presso la quale opera per essere assunto nella tanto agognata fabbrica, dove ha un dipartimento solo per lui, senza colleghi, senza superiori, senza indicazioni “sappiamo che ci può volere del tempo, ma contiamo su di lei e siamo certi che sia la persona adatta, non si preoccupi, non le corre dietro nessuno, potrebbero servire anni”. Si, ma cosa devo fare?

La Fabbrica è enorme, una città con un fiume, parchi, giardini, vegetazione e fauna a se, un ponte dal quale non si scorgono l’inizio e la fine dello stesso. Uccelli neri più grandi dei corvi che non volano, lucertole che abitano le lavanderie e nutrie onnivore dalle dimensioni di esseri umani.

La morte delle ambizioni in favore di una tranquillità che cancella il pensiero e l’arbitrio mentre si strizza l’occhiolino a Kafka senza rivelarvi segreti tra le righe.

Talvolta un presagio ci sfiora, c’è un mistero da svelare, oppure no? Dobbiamo semplicemente accettare come verità quello che di pagina in pagina viene raccontato dai tre protagonisti?

La lettura è scorrevole, i personaggi umani e credibili, personalmente l’ho apprezzato e letto volentieri, spero vivamente che traducano presto altro di Oyamada che con questo testo ha vinto il prestigioso premio Shinzo per i nuovi scrittori.

SBN: 978-88-545-2217-6

Collana: Bloom

Pagine: 208

Tradotto da: Gianluca Coci

Prezzo: €18,00

L’emporio dei piccoli miracoli – Keigo Higashino

Da leggere assolutamente almeno una volta!!

Ne ho terminato da poco la lettura e ne sono rimasta estasiata, non importa che siate o meno appassionati di libri, di cultura giapponese, di un genere in particolare!

L’Emporio dei piccoli miracoli è decisamente una storia per tutti, giovani e grandi, che abbiano voglia di immergersi in una storia a tratti dolce, a tratti divertente, a tratti quasi thriller!

Ci troviamo in compagnia di 3 giovani ladruncoli alle prime armi, i quali durante la loro fuga vengono malauguratamente lasciati a piedi dalla loro auto. Decidono così di ripararsi per la notte all’interno di un vecchio negozio abbandonato da anni conosciuto da uno dei 3 ragazzi. Tuttavia inizia ad accadere qualcosa di strano…. una lettera viene imbucata nella cassetta, si tratta di una richiesta di consiglio. Si da il caso che in passato questo emporio godesse di una certa fama non tanto per le merci vendute, quanto per il fatto che il proprietario dispensasse consigli a chi li avesse chiesti, in forma anonima e con solerzia.

Non ha dunque senso che a distanza di anni queste lettere giungano ancora, eppure… i tre decidono di rispondere, un pò per scherzo, un pò per noia. Ma: dopo qualche istante ricevono a loro volte una risposta. Inizia così un surreale scambio epistolare che porta ben presto i tre a prendere coscienza del fatto che i loro corrispondenti stanno inviando le missive dall’anno 1979. Tra scetticismi e non la notte continua e i lettori verranno coinvolti in diverse storie apparentemente slegate tra loro (ma lo sappiamo che non è mai così, vero?)

E’ un romanzo scorrevole e la magia di fondo si interseca perfettamente senza effetti mirabolanti e senza stupire mai davvero il lettore, si lascia che a destare meraviglia siano le azioni ed i sentimenti, le decisioni dei protagonisti, mentre l’elemento magico rimane come un filo sottile che collega un tempo ad un altro.

Ho sorriso molto mentre scorrevo queste pagine, ho sospirato e mi sono emozionata, ho pensato che mi sarebbe piaciuto averlo scoperto molto prima, nonché che mi piacerebbe rileggerlo tra qualche anno.

Keigo Higashino è un autore che ho scoperto pochi anni fa con “la Seconda Vita di Naoko” (libro molto intenso, morboso e talvolta spietato nonostante la scorrevolezza), per qualche motivo poi erroneamente accantonato, è noto sopratutto per i suoi romanzi gialli e polizieschi, ed effettivamente anche qui non manca l’aspetto investigativo e di ricerca.

Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che elettronico!

Buona lettura!

Finché il caffè è caldo – Kawaguchi Toshikazu

Immaginate che sia una giornata molto calda, afosa, forse siete appena usciti dal lavoro o state rientrando da un appuntamento, magari siete in pausa pranzo e desiderate solo un posto fresco dove ritagliarvi un momento di tranquillità.

Passeggiate ma tutti i caffè della zona con aria condizionata che incontrate sulla strada principali sono affollati, le persone vi si riversano all’interno alla ricerca di frescura, è quella la pausa che cercate?

Avete in borsa un libro fermo da settimane che riuscite a leggere soltanto durante i tragitti in treno, oppure avete appena ricevuto la vostra rivista preferita e non vedete l’ora di leggerla, o ancora vi serve semplicemente un istante di pace possibilmente al fresco ed al riparo dalla folla rumorosa.

Mentre passeggiate vi capita di sbirciare distrattamente nelle traverse laterali meno battute ed ecco che una piccola insegna cattura la vostra attenzione, pare proprio esserci una caffetteria proprio lì in fondo alla strada. Pochi gradini vi conducono al piano sotterraneo, la pesante porta di legno si apre con un caratteristico “Dlin” ed ecco un piccolo Caffè pulito ed accogliente, l’arredamento in legno ricorda gli anni sessanta ma è tutto meravigliosamente tenuto e tirato a lucido, non c’è musica in diffusione alle pareti diversi orologi che segnano tutti ore differenti.

Ci sono pochi tavolini ed il bancone con qualche sgabello, una donna in abito bianco siede nel tavolino più distante e legge un libro, un uomo sfoglia una rivista di viaggi e prende appunti, l’unico rumore è quello del sifone per il caffè accompagnato dal suo profumo inebriante. Lasciate pure il vostro telefono cellulare in tasca, qui sotto non c’è campo.

Avete trovato il vostro posto.

Sarà che nei miei viaggi sono costantemente alla ricerca di caffetterie come queste, dove ritagliarmi dei momenti di tranquillità mentre risistemo i miei appunti e pensieri, o semplicemente gustare un buon caffè e fumare una sigaretta prima di ripartire; pertanto sin dalle prime pagine il mio cuore ha avuto una sensazione di calore e nostalgia.

Eppure questo Caffè è speciale, negli anni precedenti circolava una leggenda metropolitana secondo la quale qui fosse possibile viaggiare nel tempo, tuttavia le regole per riuscirvi paiono talmente anguste da disincentivare chi avrebbe interesse nel farlo.

Le uniche persone che possiamo incontrare nel nostro viaggio nel tempo devono essere persone che siano state in questa caffetteria; qualsiasi cosa noi si faccia nel passato il presente non cambierà, c’è soltanto una sedia dove possiamo sederci per fare questo viaggio e non possiamo lasciarla fino al ritorno; non dobbiamo lasciare che il caffè si raffreddi, esso scandisce il tempo a nostra disposizione.

Nonostante questo i nostri protagonisti decidono di farlo, hanno qualcosa di importante da dire, oppure il desiderio di rivedere assolutamente una persona, non importa se il presente non cambierà, la necessità di rivelare i propri veri sentimenti o di proferire quelle parole mai dette è più importante.

Ma è poi vero che non serve a nulla se il presente non cambierà?

In questo racconto dolce ed emotivo impareremo a vivere insieme ai protagonisti l’importanza del momento, perchè ogni respiro ed istante è unico ed irripetibile, esserne consapevoli è importante per decidere cosa dire e fare in “questo” preciso momento, non tra due ore o una settimana.

Lo consiglio vivamente a tutti, indipendentemente da età e gusti letterari. Ritagliatevi un’oretta per ciascuno dei protagonisti e vivete con essi questi momenti, viaggiate con loro ed osservateli come a volerli accompagnare.

Personalmente ho trovato questo romanzo come una carezza, offre spunti di riflessione, fa sorridere, commuove e a tratti posa una copertina sulle ginocchia infreddolite, oppure solleva una brezza nei momenti di afa.

Infine, anche qui abbiamo uno spaccato di realtà su come spesso le relazioni vengono vissute in Giappone. Ogni libro ci da qualcosa, un tassello in più, una virgola, un colore, e sicuramente “Finché il caffè è caldo” fa parte di questi.

Il Paese dei Suicidi – Yu Miri

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Il Paese dei Suicidi – Yu Miri

Questa volta sarei onestamente curiosa di conoscere altre opinioni in merito. Mi sono avvicinata a questo romanzo carica di aspettative, conosco abbastanza bene alcune dinamiche nipponiche riguardo alle costrizioni sociali e le difficoltà che ci si trova a dover affrontare sin dalla più tenera età, l’impegno costante richiesto negli studi e la necessità di sentirsi parte di un gruppo.  Pertanto speravo in un libro che approfondisse o che quantomeno mi raccontasse una bella storia.

E’ scritto bene, una lettura scorrevole, in poche ore si arriva alla fine ma personalmente la parte che ho maggiormente apprezzato è stata la postfazione di Laura Solimando, una bellissima panoramica che va ad approfondire proprio le tematiche di cui sopra, spiegandoci le pressioni a cui si è sottoposti sin da giovanissimi ed il contesto urbano e sociale in cui esse vengono sviluppate.

Il racconto ci parla invece di una ragazza liceale che frequenta un sito destinato ad incontri per suicidarsi, possibilmente in compagnia. Mone vista da fuori è  una ragazza come tante, frequenta una scuola ed ha un gruppo di amiche con cui va al karaoke e a fare shopping, cura il suo aspetto, si trucca, ha una manicure curata, vive in una casa accogliente con la sua famiglia formata dai genitori ed il fratellino minore di 10 anni.

Cosa non va? Mone non vuole morire, ma non ha voglia di vivere e perpetuare ogni giorno della sua esistenza azioni che non le appartengono.

Le amiche che frequenta non le piacciono, ma SI DEVE essere parte di un gruppo per non essere emarginati.

La famiglia non le fa mancare nulla, eppure i genitori sono alle soglie del divorzio, non ci saranno probabilmente molte discussioni sull’affidamento dei ragazzi perché la madre ha già deciso di trasferirsi altrove col figlio minore, capace negli studi e in grado di soddisfare le aspettative della madre.

Il padre pare in qualche modo cercare un avvicinamento con la protagonista nelle rare occasioni in cui è a casa, ma tale obiettivo pare impossibile ora che ha perso totalmente la stima e la considerazione di Mone, la quale ha appreso dal fratellino sia la notizia del divorzio, che quella che il capofamiglia ha una giovane amante da circa una decina di anni.

Mone non vuole vivere.

Si reca quindi ad un appuntamento e qui devo interrompere la mia recensione onde evitare di spoilerare dettagli.

Mi è piaciuto questo racconto? Non molto.

O meglio: trovo che lo stile narrativo sia molto scorrevole ma che non vada mai davvero in profondità. Se le descrizioni degli annunci ferroviari non fossero state così ridondanti avremmo tolto una decina di pagine alla lettura, ma immagino sia un effetto voluto. Sicuramente amplifica il concetto di quanto in realtà sentiamo ogni giorno, che poi lo si ascolti o meno è un altro discorso.

Nonostante non abbia chiuso il libro pensando “fantastico!” mi sento comunque di consigliarne la lettura, è breve e non vi porterà via più di un paio di serate o un pomeriggio, ma vi farà vivere questi due giorni con la protagonista, istante per istante, girovagando tra Shibuya, Shinagawa ed altri posti affollati. Viaggerete in treno con lei e cercherete di capire a cosa stia pensando davvero, vi chiederete se arriverà fino in fondo alla sua decisione oppure se in realtà nessuna decisione è stata presa. Se siete interessati ai contesti sociali, questa lettura può sicuramente offrire degli spunti interessanti.

E poi…cosa penserete di lei? Sentirete empatia? Vi starà simpatica? La troverete irresponsabile o leggera?

Ribadisco infine che la postfazione merita comunque il costo del testo!

Disponibile su Amazon con anteprima di lettura gratuita.

 

 

 

Non sono multitasking.

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Non riesco a tenere la musica di sottofondo, non ne sono mai stata capace.

Sin da ragazzina, quando i miei compagni di scuola mi dicevano di studiare con la radio o una cassetta nel mangianastri. Non che non ci abbia provato, ma immancabilmente finisco col focalizzarmi su uno degli strumenti captati dalle mie orecchie (nel 99% dei casi sulla voce).La Voce è sempre stata lo strumento che maggiormente fa vibrare le corde della mia anima, indipendentemente dal genere musicale. Ho sempre seguito pochi artisti anche per questo, se la voce non mi crea emozioni dopo un paio di brani mi annoio.


Andare a ballare in discoteche con musica new wave o rock mi è sempre piaciuto ma nel momento in cui partiva un brano particolare mi ritrovavo puntualmente a cantare e ballare da sola.


Non posso leggere se ascolto quello che mi piace, non posso concentrarmi sul lavoro, su un pacco da fare; mi capita di scendere alla fermata sbagliata dell’autobus o di non salirci se mi passa davanti.Se sono in giro a piedi  faccio attenzione ai semafori per puro spirito di sopravvivenza ma non mi rendo conto di essere arrivata. Una volta una bambina mi ha investita col suo monopattino.Posso cucinare qualcosa di semplice che so fare in automatico, ma non sono in grado di seguire una ricetta nuova o complessa.

Non sono multitasking.


Ieri per esempio mentre tornavamo da una gita in auto è partita una playlist dei Kαin e ho salutato il navigatore, la mia testa è tornata a quando ho ascoltato quel brano per la prima volta dal vivo, alla gestualità tipica durante quei concerti, a cantare e gli occhi inumiditi hanno faticato a trattenere un pianto che in quel momento era di pura nostalgia, accompagnato dall’incertezza del non sapere quando sarò nuovamente in grado di vivere un’esperienza del genere.

Capita anche a voi?

Cosa c’entrano queste parole con Tokyo? 

A Tokyo finisco con il dormire veramente poco, sopratutto i primi giorni quando sono ancora sopraffatta dall’adrenalina, una sera, saranno state le 23, mi sono infilata gli auricolari e sono uscita di casa. Ho percorso la deserta stradina di Shin-Okubo dove alloggiavo in quel periodo, ho poco senso dell’orientamento per cui faccio sempre le stesse strade per non perdermi. Eppure rimebro perfettamente “quella” sera in particolare ed i dettagli.  Mentre ascoltavo la musica osservavo distrattamente le vending machine di bibite ho controllato di avere in borsa sigarette, accendino e posacenere portatile, alla fine della stradina c’era un negozio di fiori chiuso ma sulla strada principale era quasi tutto aperto, ho sorriso al poliziotto ed ho attraversato la strada per raggiungere l’altro lato della strada ed entrare al seven per comprarmi una birra fresca ed un accendino. Di fianco alla stazione JR di Shin Okubo c’era una grande smoking area, non ho percepito il rumore della lattina che stappavo e il click d’accensione dell’accendino, ho tolto un auricolare e l’ho riacceso due volte. Durane quella singola sigaretta ho visto passare due treni sopra di me, poi mi sono incamminata per la strada che conduce a Shinjuku est.

E’ la strada che costeggia la ferrovia, passano pochissime auto, c’è una piccola corsia destinata ai pedoni ed un paio di ristoranti coreani. Mi piace fare quella strada, è tranquilla e so esattamente dove sbuca, so anche che le altre parallele portano più o meno nello stesso punto ma ogni volta che ne ho imboccata una mi sono persa. Pertanto quella sera, dato che stavo ascoltando musica non potevo permettermi di ritrovarmi chissà dove. Il profumo pungente del curry indiano mi ha indicato che la strada era quasi finita, ho attraversato il sottopassaggio e mi sono fermata alla smoking di fronte allo Yunika Vision dove stavano trasmettendo un estratto di un concerto di Shogo Hamada. Mi sono guardata intorno, la luce abbagliante dello Yunika si mischiava con quella del Pachinko sull’angolo, c’era tanta gente, come sempre. Non ho smesso di cantare mentalmente quello che ascoltavo, ho pensato che forse un riso al curry non sarebbe stato male, o una soba. Mi sono incamminata verso Kabukicho e la folla andava intensificandosi, nulla di strano, ma poi un altro profumo ha iniziato a solleticare le mie narici, qualcosa alla piastra forse, si stava svolgendo un matsuri. Sono rimasta affascinata, sicuramente ci doveva essere confusione ma mi sono ritrovata in un film dove la colonna sonora era quella del mio iPhone. Ho acquistato dei takoyaki e mi sono seduta sui gradini del tempio, che strano questo takoyaki, ma cosa c’è dentro? Non posso sputarlo per controllare…manda giù, scotta, poi ci penserai e cercherai di capirlo dal prossimo, mi serve una birra. Acquisto una birra, 600 yen, ma come, così tanto? La stessa birra al combini costa 328, pazienza, non posso certo andare al seven più vicino poi tornare qui, si raffreddano i takoyaki. Mi risiedo sui gradini e guardo le botti vuote di sake appese intorno a me pensando “che bei regali”, mi cade l’occhio su un baracchino di palloncini di One Piece e Doraemon, di fianco hanno delle chocobanana che mi fanno paura, le mele candite però sono buone. Ah, ma ho i takoyaki, adesso scottano meno, posso mordere e vedere cosa c’è dentro. Una nuvola di fumo mi investe, due ragazzi si siedono di fronte a me con delle seppie giganti fumanti, faccio rotolare il takoyaki nella salsina e lo addento piano, come diavolo fai ad avere ancora la temperatura della lava? Ma resisto e lo osservo, c’è un uovo! Cosa ci va un uovo qui dentro? Com’è piccolo poi! Buono, ah, non è sodo, è barzotto, ma questi takoyaki sono una bomba! Faccio un sorso di birra e mangio il terzo, questa volta in maniera consapevole. Sospiro contenta, skippo la traccia che è appena partita perché si, la band è sempre quella ma la canta il chitarrista e non mi fa impazzire. Faccio un paio di foto e vado alla smoking area del matsuri, abbandono i takoyaki rimasti nel cestino e faccio un paio di foto al tempio, da qui si vede meglio, finisco la birra mentre fumo e noto il baracchino dell’amasake. Che buono, ma non fa così freddo, speriamo che vendano tanto lo stesso, quel signore era stato così gentile l’anno scorso mentre mi porgeva il bicchierino di carta bollente invitandomi a stare attenta a non scottarmi. Ormai sono in giro, potrei andare al Loft, controllo se ho con me carta e penna, si le ho, bè in effetti potrei farci un salto, tanto è qui dietro, devo solo uscire dalla parte giusta del Matsuri. Se lì c’è la chocobanana e più avanti quello delle mele candite sono dalla parte giusta.  Forse so un un pò di pesce grigliato e fritto ma tanto non devo incontrare nessuno. Forse se passerò tra le chocobanane, la frutta candita e lo zucchero filato avrò un odore diverso. Avevo messo il profumo prima di uscire? Figurati, non mi sono nemmeno truccata, ho infilato i primi jeans che ho trovato e gli occhiali da sole. Li ho ancora su? Cavoli Tokyo è proprio illuminata a giorno stasera, non me ne ero resa conto. Ah, i pantaloni sono strappati, pazienza, tanto sotto ho i boxer. Vado a farmi un drink poi torno a casa, si, tanto ormai sono fuori e mi sono svegliata. 

L’unica cosa che posso fare, mentre ascolto musica, è scrivere.

Non scrivere recensioni, per quello mi serve il silenzio assoluto, ma lasciare correre i miei pensieri e le mie emozioni come in questo momento. Non riesco a fare altro. Forse per quello faccio un uso che è più un abuso dei puntini di sospensione (ma sto cercando di controllarmi). Eppure, per qualche strano motivo, alcune cose come quello spezzone di serata appena raccontata rimangono come disegnati perfettamente nella memoria. Non solo le cose che ho visto ma i pensieri, e posso garantire che la mia memoria non è assolutamente degna di nota.