Cercando il Giappone a Parigi

Ho voluto smettere di contare i mesi che sono trascorsi dai miei ultimi giorni a Tokyo, così come ho smesso di monitorare le news quotidianamente alla ricerca di uno spiraglio che accenni un qualche tipo di riapertura anche per il turismo individuale. 

In realtà non ho però smesso di dare un’occhiata alle tratte aeree delle varie compagnie e agli alberghi abituali dove normalmente soggiorno.

Questi mesi (dovrei dire anni…ma sono pochi e la parola “ mesi” pare più leggera) di incertezza ed interrogativi hanno suscitato emozioni così altalenanti al punto che se vi fosse una trascrizione emotiva forse susciterebbero ilarità. Già, perché si passa da un “ma si dai, quando riapre riapre, intanto brindiamo al nuovo anno!!” ad un “chissà quando e se….. vabbè beviamoci su”.

Sempre in alcol finisce, ma con uno stato d’animo totalmente differente. Euforia e tristezza, entusiasmo e rassegnazione. L’altalena emotiva: che giostra meravigliosa, vero?

E intanto cosa si fa? Si vive il momento, si prende il meglio, si organizzano uscite, si va ad i concerti che hanno ripreso, si cena fuori, si passeggia in Darsena e si parte, si acquistano biglietti aerei e si pianificano escursioni in altre città europee meravigliose!!

Andiamo a Parigi? Yeah!!

2 volte a distanza di pochi mesi? Evviva.

Non vi narrerò della vacanza parigina di fine marzo, poiché questo è un blog sul Giappone. Quindi perché dovrei raccontare quella di questi giorni?

Poiché a Parigi esiste un frammento di Giappone in grado di scalfire il cuore di chi come me si era detto “e chi ci pensa a Tokyo? Quando sarà sarà, intanto Vive la France!!!”

Ed io la Francia la amo davvero tanto, chi mi conosce può testimoniare la mia adorazione nei confronti di questa nazione e di chi la abita.

Insomma, prima di partire vengo a sapere che c’è una libreria giapponese molto fornita (a quanto pare lo sapevano tutti i miei conoscenti tranne me), andiamo a farci un salto, è vicino all’Operà e dal momento che l’ultima volta non ero riuscita a vederla e le precedenti era tappata per lavoro è parsa l’occasione perfetta per acchiappare capre e cavoli!

Percorriamo il boulevard e quando sappiamo mancare poche decine di metri la pioggia incessante invita a fermarsi per un caffè, ovviamente all’aperto ma riparati dalle tende, mentre sorseggio il mio cafè creme mi accendo una sigaretta ed alzando lo sguardo leggo Takumi Cheesecake. Per un attimo rimango perplessa, guardo meglio e poco distante riconosco il logo di kuroneko yamato.

Takumi original Japanese Cheesecake

Terminiamo la pausa caffè e ci addentriamo nella strada della libreria, i palazzi sono quelli meravigliosi che sappiamo avere Parigi, eppure  le vetrine e le insegne sono un susseguirsi di kanji, hiragana e katakana che mi ritrovo a scorrere come fossi una bambina delle elementari che riesce finalmente a leggere il primo libro di favole. Anche i profumi sono quelli che escono dalle botteghe giapponesi. Un leggero senso di smarrimento unito alla sensazione di essere a casa, mi riesce davvero complicato descrivere a parole. 

Arriviamo alla libreria Junku, mi sembra di essere da Kinokuniya (grande catena di librerie molto presente sul territorio nipponico), dove al piano terra ci sono libri di ogni genere, riviste, manuali di lingua, libri per ragazzi e bambini, dizionari, sento un nodo alla gola mentre sfoglio una versione giapponese illustrata di Biancaneve. L’inconfondibile profumo della carta, il vociare soffuso delle commesse che parlano tra loro in giapponese, i bambini che si siedono a sfogliare grandi libri puzzle. Articoli da cancelleria, quaderni, qualche gadget. Andiamo al -1 ed eccoci praticamente all’Animate, dove ogni corridoio sembra un piano diverso dell’omonimo negozio. Non vedevo così tanti artbook tutti insieme dal mio ultimo viaggio, lo stupore nel trovarne di davvero recenti, edizioni speciali di manga, un super reparto yaoi (….il mio tallone d’Achille) e ancora quell’odore inconfondibile di carta giapponese.

Onestamente ho perso la nozione del tempo. 

Il piccolo tour è continuato tra altri negozi di vario tipo, dai botteghini di ramen alle panetterie in stile giapponese con gli immancabili kareepan e melonpan. Negozi di alimentari con le immancabili ramune ma dove ho trovato uno dei miei drink estivi preferiti: il mughicha (tè d’orzo, rinfrescante ed adatta anche ai più piccoli per via della mancanza di teina e caffeina).

Eravamo ormai entrati in questa spirale giapponese e non avevamo alcuna intenzione di uscirne, un po’ come bambini in un parco giochi “uh guarda: c’è lo shampoo tsubaki! Gli onigiri!! La fluffy cheesecake! L’oujicha! Rilakkuma! Ecc ecce cc”. 

Mugicha mon amour!!

E poi, sulle vetrine di molti negozi un piccolo poster: MATSURI, ma davvero? Un matsuri a Parigi? Ma quando? Proprio in questi giorni? Cosa fai, non ci vai? Ovviamente ci vai, anche se dista 2 ore a piedi ma siccome sei fermo sulla tua decisione di fare lunghe passeggiate nulla ti fermerà, nemmeno la strada che ad un certo punto diventa deserta e poi malfrequentata, nemmeno il campo di tossicodipendenti nel quale passiamo ignari e in silenzio (impauriti, tanto, ma ormai eravamo lì e il navigatore non forniva strade alternative) insieme ad altre due fanciulle in yukata che ci precedevano a passettini svelti di fronte a noi, e no, nemmeno la polizia che ci ha fermato una volta usciti dal campo per chiederci cosa facessimo lì in mezzo: gli abbiamo mostrato le locandine dell’evento e spiegato che eravamo turisti. Ci hanno praticamente detto che eravamo degli imbecilli ed eravamo stati fortunati, di fare una strada diversa al ritorno e tanti saluti.

Ma alla fine ci siamo arrivati al matsuri, e ne è valsa la pena! Non immaginate la classica festa dove si affiancano una dopo l’altra infinite bancarelle di cibo, si trattava comunque di un evento più piccolo, dove non mancavano ovviamente takoyaki ed altre leccornie, ma vi erano bancarelle di giochi in legno, kimono, spazi con dimostrazioni di karate, un ampio spazio per l’esibizione del taiko, un capannone interamente dedicato alle degustazioni di sake ed altro ancora. Ma, indipendentemente da questo, è stata proprio l’aria festosa a valerne la pena. Famiglie francesi e giapponesi con bambini che giocavano alla pesca dei pesciolini e si divertivano sotto un sole che ci ha regalato una discreta abbronzatura!

La locandina del Matsuri! Se ne avete voglia fate un giro su googlemaps a piedi per Parigi che vi conduca alla Cité Fertile!

Tra i vari stand presenti c’era anche quello della Japan Airlines, era l’unico senza coda e per un attimo mi ha sfiorato il pensiero di chiedere “si, bello che ci sia una tratta diretta ma…avete intenzione di riaprire a breve?” . Un pò per la paura della risposta, un pò perché i giapponesi non amano dare risposte negative, non me la sono sentita di ascoltare qualcosa di evasivo e ho tirato dritto. Chissà, forse non sono stata l’unica ad elaborare questo pensiero dato che come accennato non vi era nessuno a richiedere informazioni.

Insomma, questa vacanza ci ha regalato infine anche un pezzetto di Giappone, il che non fa che accrescere il mio amore già grande verso la città meravigliosa che è Parigi (nonostante lo spavento della zona sopracitata!).

Da un lato avrei potuto dilapidare una fortuna dato che in ogni singolo negozio (sopratutto in libreria) c’era qualcosa che mi piaceva ed interessava notevolmente, tuttavia a parte la mia bottiglia di mugicha non mi sono portata via nulla.

E’ difficile spiegare, da un lato sicuramente vi è il fatto che non avessi oggettivamente bisogno di nulla (quando mi servono creme o altro mi arrangio comunque con gli acquisti dal Giappone e gli amici che abitano lì mi danno una mano), ma non credo si sia trattato solo di questo. A pensarci ora credo che in cuor mio ci fosse il silenzioso augurio “aspetta, compralo a Tokyo, adesso in realtà non ti serve”.

Quindi, nonostante i buoni propositi del non pensarci troppo e non pianificare fintanto che non vi sono certezze, è evidente che il sentimento nostalgico c’è e si fa sentire, diversamente non avremmo trascorso tante ore in queste zone e sopratutto non ne saremmo usciti a mani vuote.

E’ stato un piccolo viaggio nel viaggio, un’esperienza dolce ed avvolgente come la fluffy cheesecake di Osaka, che non vedo l’ora di mangiare quando tornerò a volare oltreoceano.

Se avete intenzione di passare per Parigi e vi manca il Giappone concedetevi questa piccola escursione etnica, ne varrà sicuramente la pena vi regalerà una dolce sensazione di deja vu!

Ho citato solo alcuni dei posti a tema giapponesi in città, e postato pochissime foto perché non ne ho fatte altre, mi sono goduta in prima persona profumi, sapori e colori lasciando lo smartphone in borsa ma se avete bisogno di approfondimenti o informazioni chiedete tranquillamente o navigate on line, ci sono tantissime informazioni a riguardo!

Candy Candy – Keiko Nagita

Chi non si ricorda di Candy Candy? Una delle prime orfanelle che ha ci ha tenuto compagnia durante l’infanzia per giorni e giorni, con le sua serie di sfortunati eventi ed un ottimismo da far invidia a Pollyanna col suo gioco della felicità!

Questo dolcissimo romanzo mi ha tenuto compagnia durante il mio viaggio a Parigi, durante gli spostamenti e le soste nei meravigliosi giardini e caffè cittadini.

L’avevo acquistato l’anno scorso in realtà, ma tra una cosa e l’altra non ero mai nel mood adatto nonostante mi piaccia molto la letteratura per ragazzi. 

E’ stato un viaggio meraviglioso, ripercorrere le avventure di questa giovane ragazza dall’infanzia e commuoversi negli stessi punti in cui da bambina avevamo pianto guardando la serie è stata un po’ una coccola sul cuore. 

Il romanzo di per se mi è piaciuto veramente molto, e ne ho apprezzato l’epilogo epistolare che va a chiudere tutti i cerchi tranne uno….

Una delle spinte verso la lettura è stata “ma come finiva poi Candy? Con chi si metteva? No perché Terence l’aveva lasciato a Susanna…mmmm” quindi immaginate la mia sorpresa quando nelle ultime pagine….no, non dirò nulla a chi non lo sa o non ricorda!!

Credo che questo romanzo potrebbe trovare posto a tutto diritto di fianco a Piccole Donne, Pollyanna, Anna dai Capelli Rossi ed altri testi simili, consigliato a tutti i nostalgici ma anche ai più giovani che non hanno avuto ancora la fortuna di scoprire le avventure di Candice White.Non manca nulla, c’è avventura, amore, amicizia, divertimento…ma c’è anche la guerra, le difficoltà, le prese di responsabilità e le scelte difficili, non solo della giovane protagonista ma di tutti i personaggi.

Cronache di un gatto viaggiatore – Arikawa Hiro


Normalmente attratta dalla copertina (gatto + autore giapponese) mi sarei soffermata a leggere la seconda e la quarta di copertina solo per proforma prima di procedere verso la cassa; la mia testa infatti aveva già deciso l’acquisto senza soffermarsi su lunghe riflessioni. (lo stesso vale per i titoli che abbinano il caffè al Giappone/autori nipponici); si: mi rendo conto di essere una mente estremamente semplice talvolta. Tuttavia mentre passava quella frazione di tempo, la mia amica del cuore che mi stava accompagnando era già in cassa con il libro in mano, pronta a regalarmelo!
 
Questo romanzo è meraviglioso. Come un gatto che passeggia a passo felpato, la narrazione di Arikawa ci accompagna dolcemente lungo un viaggio dove l’amicizia è protagonista incontrastato di questo racconto.
 
Nana è un giovane gatto randagio che vive  alla giornata, ama addormentarsi sul cofano di una station wagon e spesso si lascia fare qualche carezza da un umano che gli lascia del cibo. Fintanto che non viene malauguratamente investito da un’auto durante i suoi vagabondaggi. A salvarlo e a prendersi cura di lui sarà Satoru, il proprietario della station wagon tanto comoda.
Entrambi, umano e gatto, da tempo non permettono agli altri di avvicinarsi facilmente, ma con il tempo e la fiducia il loro rapporto cambia, fino a diventare speciale.
Arriva però un momento nel quale Satoru capisce che non potrà più occuparsi di Nana, decide pertanto di intraprendere un viaggio tra le sue amicizie di vecchia data, proprio con  l’intento di trovare un nuovo padrone per l’amato felino.
E’ dolcissimo il modo in cui i rapporti umani vengono trattati, i vecchi amici del protagonista e il ruolo che ciascuno ha avuto nella vita dell’altro. Si accorciano le distanze tra il lettore e i protagonisti pagina dopo pagina.
Non voglio raccontarvi tutto quello che è scritto in seconda di copertina, se potete anzi non leggetela e lasciatevi accompagnare da Nana e Satoru lungo questo viaggio attraverso il Giappone; sarà dolce, intenso, e quasi sicuramente vi commuoverà e farà riflettere sul dolore della perdita e i legami importanti, sull’accettare l’ineluttabilità della vita nei momenti più drammatici e trarne comunque conforto. 
Il riassunto infatti svela troppo a mio avviso, trattandosi di una lettura estremamente scorrevole non occorre spoilerarsi nel dettaglio i moventi dei vari personaggi, a partire da quelli di Satoru, anzi lasciamo che ci vengano svelati a poco a poco.
 
Il punto di vista felino come voce narrante è frizzante, non possiamo non ritrovarci a sorridere o scuotere la testa in certi passaggi, persino in quelli più toccanti. 
 
Se volete divertirvi ed al contempo emozionarvi, se amate i felini, se avete voglia di vedere il meraviglioso Giappone, il monte Fuji, il mare, la neve e l’arcobaleno attraverso gli occhi di un gatto allora preparate un pacchetto di fazzolettini ed una tisana dolce, poi partite anche voi a bordo della station wagon, sarà bellissimo, per quanto possa valere, è una promessa.
 
 
 
 
 
 

Un tè con biscotti a Tokyo – Julie Caplin

Ammetto che mi sono fatta attrarre dal titolo e dalla copertina colorata in un momento di malinconia dettata dal fatto che sono due anni che non posso partire per il Giappone, mentre vagavo per una libreria del centro dicendomi “hai a casa una pila di libri in attesa, non serve comprarne altri” ma la curiosità mi ha spinta altrove e dunque ho ceduto!

Sapevo perfettamente che si trattava di un romanzo leggero, ma ammetto che non credevo fosse così intriso di stereotipi da letteratura rosa. Sia chiaro, non ho nulla contro questo genere, ho letto con passione tutti i libri di Lucinda Riley ma diciamo che ecco, parliamo di un livello decisamente differente.

“Un tè con biscotti a Tokyo” è sicuramente una lettura scorrevole (iniziato e finito in una giornata oziosa). Fiona, la nostra protagonista è una blogger e fotografa di Instagram ed ha vinto un concorso con tanto di viaggio di due settimane a Tokyo, dove deve lavorare a degli scatti da esibire poi in una mostra londinese. Purtroppo chi dovrebbe farle da mentore (un famoso fotografo giapponese) ha avuto un lutto in famiglia ed al suo posto manda in missione niente meno niente meno che la prima fiamma della nostra beniamina, altro fotografo di fama internazionale, ovviamente alto, bello, con fisico da copertina (senza bisogno di praticare sport – per sua stessa ammissione) e gli occhi blu come il cuore dell’Oceano di Rose. Ah, ovviamente non solo è bellissimo ma ha, (ovviamente) una storia travagliata alle spalle, ha perso fiducia nell’amore, è arrogante ma con quella punta di ironia che tanto piace alle donne (?).

Ciliegina sulla torta: è colui che ha “rovinato” la vita della protagonista quando lei aveva solo 18 anni e lui insegnava all’università da lei frequentata, questo perché un giorno lei lo ha incontrato in corridoio e lo ha baciato, una compagna li ha visti mentre lui si scostava da lei (in quanto non si fa!) ed ha raccontato a tutti che la povera Fiona è stata respinta dal professore bello e famoso. Questo episodio ha segnato in modo indelebile la nostra protagonista. Fatto sta che a 10 anni da questo episodio i due si rincontrano e lui non si ricorda di lei fino a quando fa caso al suo colore di capelli, lei è tutta un “resisto, non mi piace, era solo una ragazzata” per poi soffermarsi sulla descrizione dei peli delle braccia di lui quando sono seduti vicini. Ovviamente lo trova saccente, insopportabile ed arrogante…ma mamma mia che occhi blu che ha!

Il resto non mi pare giusto raccontarvelo onde evitare di rovinarvi la lettura.

Ma… c’è un ma! Al di là dei due protagonisti a mio avviso insopportabili c’è la famiglia giapponese che ospita Fiona dove invece sembra esserci dell’intelligenza e della coerenza nei comportamenti. Le tre donne di questa famiglia infatti (la nonna, la madre e la figlia sedicenne) riescono infatti, con le loro parole misurate a trasmettere al lettore qualche nota di Giappone, ovviamente non manca qualche stereotipo ma nel complesso risultano piacevoli e sopratutto credibili.

Se vi piacciono gli shojo manga questo romanzo potrebbe decisamente piacervi, se volete una storia d’amore leggera, senza grandi colpi di scena e abbastanza intuibile già da pagina 10 anche. Se però volete uno scorcio di visita a Tokyo vissuta da una turista casuale estremamente fortunata credo si possa trovare di meglio. La città ci viene descritta infatti in modo sommario e superficiale, fatta eccezione per il famoso incrocio di Shibuya (forse perché durante la trama la nostra protagonista ci torna) ed un paio di ristoranti; ma è pur vero che il romanzo non ha (credo) la missione di trasmettere la voglia di visitare il Paese del Sol Levante. Diciamo che la storia si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altra metropoli del mondo ed avrebbero mangiato qualcosa di diverso dal sushi e la tempura.

I brevi accenni alla cerimonia del te e alla vestizione del kimono sono estremamente fugaci ma ripeto, è chiaro che non volevano essere questi i punti salienti.

Insomma questo romanzo non mi ha convinta e conquistata, forse avrei preferito un approfondimento culturale maggiore, forse un protagonista maschile locale avrebbe fatto la differenza o avrebbe messo un pò di divertimento. Bello andare a vedere i Sakura, il monte Fuji e l’incrocio…..ma Tokyo è anche molto altro, si va al Robot Restaurant senza nemmeno una menzione del quartiere in cui si trova (sta infatti a Kabukicho, la zona a luci rosse e dell’intrattenimento di Shinjuku), ma forse pareva brutto che a portarla lì fosse stata la sedicenne della famiglia?

Infine, e forse qui mi ripeto, avrei apprezzato un approfondimento migliore dei comprimari, non solo la famiglia ospitante ma anche la madre di Fiona (che per tutto il libro fa la parte della mamma rompiscatole ipocondriaca che manda sms ogni 4 minuti e miracolosamente a 10 pagine dalla fine si risveglia grazie ad una conversazione telefonica di pochi istanti avuta giorni prima con la mamma che aveva ospitato la protagonista)!

Non mi sento di consigliarlo a chi non ama la letteratura rosa leggera in generale.

ps: biscotti non pervenuti

Titolo: Un tè con biscotti a Tokyo

Autore: Julie Caplin

Editore: Newton Compton Editori

Heaven – Mieko Kawakami

Leggetelo.

Leggetelo, sopratutto se siete mamme, papà, fratelli o amici di ragazzi in età scolare. Assolutamente, leggetelo.

Se siete insegnanti o avete a che fare con i più giovani: leggetelo, consigliatelo, divulgatelo come potete.

Mieko Kawakami ci racconta in maniera delicata eppure inesorabile la storia di due ragazzini che frequentano la scuola media, apparentemente conducono una vita normale, escono di casa ogni mattina salutando i genitori e rientrano, fanno i compiti, cenano, dormono. Finché l’inferno non li accoglie nuovamente ad ogni rientro in classe.

Gli avvenimenti di questo romanzo sono sassi e pugni nello stomaco, non solo figurati.

Il dolore della violenza, anche verbale ed il suo essere accarezzato e mitigato dall’amicizia.

Un’amicizia che nasce non dalla simpatia ma dalla sofferenza che entrambi i ragazzi vivono. Viviamo quest’ anno scolastico narrato in prima persona dal protagonista, il cui strabismo pare trasformarsi nel pretesto per divenire oggetto di scherno valvola di sfogo per i suoi compagni. Giorno dopo giorno, angheria dopo angheria, gli unici momenti di pace sono quelli regalati da una corrispondenza segreta e qualche incontro con una compagna di classe anch’ella presa di mira dalle compagne di classe per via del suo aspetto trasandato.

I due ragazzi si scrivono, prima timidamente poi sempre più assiduamente, nelle loro lettere non si accenna mai a ciò che vivono sui banchi di scuola ma si raccontano e conoscono. Ho riflettuto spesso su questo tipo di legame, domandandomi in che direzione può portare un rapporto nato dalla sofferenza qualora una delle parti decidesse di porre fine (o quanto meno provare) agli atti denigratori dei coetanei.

E’ un libro emotivamente difficile da affrontare, il nome del protagonista non ci viene mai svelato e potrebbe essere davvero ognuno di noi in un momento della nostra vita, se non ci rivediamo siamo stati fortunati, se ci ritroviamo anche solo in parte nel suo malessere e nelle sue notti insonni questo romanzo ci regala una nota di conforto e comprensione.

Incredibile e a tratti agghiacciante il dialogo tra il protagonista ed uno dei suoi persecutori, un faccia a faccia che vorrebbe trovare la risposta “perché mi tormentate?” “perché proprio io?”. Forse uno dei passaggi più significativi del libro e mi sono ritrovata a rileggerlo una volta terminato.

Un epilogo non epilogo, perché qualunque sia ciò che accade dalla pagina bianca in poi sarà comunque inevitabilmente segnato dal vissuto.

E’ un romanzo breve, si può leggere tranquillamente in un paio di giorni. Qualcuno lo ha definito “tenero”, non sono d’accordo. Sebbene le parole siano scelte con cura e delicatezza non posso definire tenero il racconto di una simile esperienza.

I sette killer dello Shinkansen – Isaka Kotaro

Non so se thriller sia la definizione più appropriata per questo romanzo di Kotaro Isaka, sicuramente la suspense e l’adrenalina non mancano.

Lo definirei piuttosto divertente ed intelligente, ben studiato e con i colpi di scena al momento giusto!

Un gruppo di killer (che non si conoscono tra loro) si trova a a viaggiare sul medesimo treno ad alta velocità, ciascuno con una missione diversa, chi per lavoro chi per motivi personali; ma va da se che per ragioni di sceneggiatura si troveranno presto a doversi relazionare.

I personaggi sono ben caratterizzati, tuttavia a volte paiono poco credibili e leggermente forzati

La scrittura è scorrevole e si presta sicuramente bene come sceneggiatura di un film (pare infatti che uscirà questa primavera il film nelle sale, il cui protagonista sarà Brad Pitt, ma avendo cambiato tutti i nomi non mi è chiaro quale ruolo interpreterà dato che non c’è un personaggio predominante).

Un racconto che intrattiene e diverte senza avere la pretesa di destare chissà quali riflessioni, ma indubbiamente ci ritroveremo a parteggiare per l’uno o per l’altro tra i vari malviventi presenti sul treno.

La mia simpatia tra tutti se l’è guadagnata Mikan, sin dalle prime pagine, mentre ho mal tollerato Ouji, forse perché tra tutti mi è parso il meno credibile sebbene non manchi a tratti di fascino.

Mi rimane qualche perplessità riguardo sia il titolo dell’edizione italiana sia quello che è stato scelto per il film (i cinque killer dello Shinkansen), personalmente avrei tolto numeri per evitare errori e confusione se proprio si voleva rimarcare l’attenzione con “i Killer dello Shinkansen”.

Il titolo originale è Maria Batoru (dove Batoru è la traslitterizzazione di Beetle, una delle possibili traduzioni della coccinella), Coccinella è anche uno dei nostri assassini presenti sul treno, quello più sfortunato e per il quale la legge di Murphy è una regola che non ammette eccezioni. Maria è la donna all’altro capo del telefono con il quale proprio Coccinella interagisce. Sette i puntini sul dorso della coccinella come 7 i dolori di Maria…. coincidenze? Siete curiosi? Considerate che questa è una spiegazione che sono voluta darmi per comprendere l’adattamento del titolo ed alcuni fatti che si svolgono nel libro.

In definitiva non mi sento di consigliare o sconsigliare questo libro, se siete amanti dei romanzi nipponici e come me vi ritrovate a divorare quasi tutto quello che viene tradotto da noi, sicuramente passerete delle ore piacevoli leggendolo.

Se invece cercate un thriller più strutturato oppure avete una pila di libri in attesa, direi che questo può tranquillamente attendere le prossime vacanze.

Personalmente mi è piaciuto e mi ha intrattenuto, ma ripeto, l’ho vissuto come un intermezzo leggero all’interno di una serie di libri molto diversi e in un momento in cui tempo libero ne ho avuto in abbondanza (le vacanze estive).

Dettagli

Autore:Kotaro Isaka

Traduttore:Bruno Forzan

Editore:Einaudi

Collana:Einaudi. Stile libero big

Le Bugie del mare – Kaho Nashiki

In un momento come questo, dove taluni viaggi ci sono ancorapreclusi, la letteratura è diventata una valvola di sfogo importante; mai come in questo momento il non poter pianificare mi risulta quasi doloroso, mi ritrovo così a ricercare nuove esperienze per sopperire una fase (spero di transizione) tanto incerta.

L’approccio con le prime 40 pagine di questo romanzo non è stato tra i più semplici e coinvolgenti, tanti nomi per me difficili di fauna, flora e tradizioni, un inizio quasi accademico che in un paio di punti mi ha portata a pensare “ma succederà qualcosa adesso? …ma quindi?…” 

Siamo negli anni 30, in un isola nel sud del Giappone. Akino vi si reca per un viaggio di ricerca sul territorio e le tradizioni, ma quello che si ritroverà a fare, forse inizialmente inconsciamente, è un viaggio interiore, una profonda riflessione sull’esistenza in un momento tanto delicato per lui, che ha da poco perso, a breve distanza l’uno dall’altro, entrambi i genitori nonché la fidanzata.

Osojima, questo il nome dell’isola, rappresenta un micro universo a se stante, ancora parzialmente incontaminata dal mondo moderno, i ritmi sono lenti, seguono le ore e le stagioni. 

Stupisce che chi abita in montagna non conosca le spiagge e chi le abita, ma siamo ancora in mondi nei mondi, dove le distanze apparentemente più brevi richiedono comunque ore di cammino attraverso sentieri non battuti quotidianamente e pertanto impervi. Dialetti differenti da una parte all’altra dell’isola che necessitano di interpreti locali, tradizioni radicate ed una dolorosa guerra religiosa terminata da poco, che ancora lascia il segno sui figli dell’isola.

Ma il cerchio si chiude molti anni dopo questa esperienza quasi mistica, quando, a distanza di 50 anni, con le guerre ormai lontane il nostro Akino tornerò ad Osojima chiedendosi se quella settimana non fosse il frutto di un sogno.

Se apprezzate Miyazaki sarà come leggere la sceneggiatura di un suo film, non mi sorprenderebbe infatti se un’opera dello studio Ghibli venisse tratta da questo romanzo.

Sarà come un viaggio nel paradiso perduto, o se preferite in una sorta di città incantata dove la magia vi sfiorerà come una brezza senza lasciare prove tangibili. Una nebbia delicata, un miraggio…. O semplicemente una Bugia del Mare.

Dettagli

Autore: 

Kaho Nashiki

Traduttore: 

Gianluca Coci

Editore: 

Feltrinelli

Collana: 

I narratori

Nostalgia [coming] out

La nostalgia non è necessariamente un sentimento sfumato, talvolta arriva come uno schiaffo ma in quel momento non la si riconosce come tale. 

In questi mesi, in cui i miei post si sono limitati a recensioni di alcuni libri letti, sono accadute molte cose, sia a livello personale che lavorativo, ovviamene ne sono successe a livello mondiale e chi segue questo blog sicuramente ha in comune la passione o la curiosità nei confronti del Paese del Sol Levante che, come sappiamo, ha ormai chiuso da oltre un anno i suoi confini turistici.

Quando sono partita per quattro fugaci giorni a gennaio 2019 ho messo il mio decissattesimo timbro ma avevo già in tasca un biglietto per fine aprile, certo non pensavo che si sarebbe trasformato in un voucher che ad oggi non so ancora quando potrà essere utilizzato.

Mentre scrivo mi lascio trasportare dalle note del mio artista preferito, pertanto non so in quale direzione potrà virare con esattezza il contenuto di questo articolo, vediamola come uno sfogo temporaneo.

Mi sono arrabbiata così tante volte in questi mesi, incapace di contrastare il senso di frustrazione, ed altrettante mi sono detta “Adesso è così, non puoi cambiare lo stato delle cose ma puoi vivere il momento e accettare, ottimizzarlo senza aspettare necessariamente qualcosa che potrebbe succedere”.

Mi sono ritrovata a pianificare il “prossimo viaggio” almeno una decina di volte, pensando che sarei dovuta assolutamente tornare in quel caffè nascosto di Harajuku e poi a cena di fronte al palazzo del governo a Shinjuku. 

Ho pianificato giri mirati agli acquisti inerenti il lavoro, gli eventi ai quali partecipare ed eventuali piccoli investimenti da effettuare. 

Ho pianificato persino il trattamento lisciante alla keratina da applicare prima di partire per evitare che l’umidità mi rendesse prossima ad un cagnolino bagnato al primo sentore di umidità.

Gli incontri con gli amici che non vedo da tantissimo tempo, la mia “nipotina” acquisita ha un anno mezzo ed io avrei dovuto conoscerla e spupazzarmela prima dei tre mesi, adesso trotterella ed è una pagnotta. 

Normalmente a settembre pianifico il calendario sia lavorativo che i viaggi da ottobre e per tutto il primo semestre dell’anno successivo.

La realtà è un’agenda vuota. 

Un’agenda intonsa che pesa quanto una Smemoranda dei tempi del liceo pur essendo priva di contenuto. 

Credo che in tutti questi mesi ciò che più mi abbia destabilizzata sia stata proprio questo, unito al fatto che il mio lavoro è essenzialmente sociale, pur svolgendolo in solitudine e tranquillamente nel tanto in voga “smart working” per il 70 per cento, vi è tutta una parte legata ai meeting ed eventi che è venuta totalmente a mancare. Capire cosa vogliano i clienti e non potercisi relazionare personalmente si è rivelato molto complesso.

Ho cercato di sorridere e pensare almeno una volta alla settimana che i problemi seri erano altri, che comunque sono nata in una delle parti più fortunate del mondo e che anche circa l’epoca non ho effettivamente nulla di cui lamentarmi seriamente.

Si certo, mi mancano i concerti, tuttavia non saranno mica queste le serie preoccupazioni, semmai grattacapi da poco.

Così, a settimane alterne l’umore virava da una serena accettazione ad una scalpitante sofferenza.

“Smettila di pianificare, aspetta e poi farai”

“Si ma dai, almeno l’evento di settembre posso metterlo giù”.

Fino al 3 di giugno, mattina in cui guardavo gli orari dei voli da prenotare a mia madre che avrebb raggiunto mio padre in Sicilia per il periodo estivo.

Pregustavo quel 3 giugno da settimane, avrebbero rilasciato finalmente il nuovo film di Sailor Moon su Netflix e avrei passato una giornata fantastica con i miei affetti più cari tra cui un amico meraviglioso di lunga data e che ho incontrato quasi 20 anni fa proprio grazie al comune amore nei confronti dell’animazione.

Un pranzo alla mia amata rosticceria giapponese G81 di Corso Garibaldi e una serata a base di strong al pompelmo rosa e Sailor Moon.

La sera la chiamata di mia madre e l’improvvisa scomparsa di mio papà. Il giorno dopo ero in volo verso Catania con il cuore irrimediabilmente spezzato.

Se dicessi di stare bene adesso mentirei, tuttavia ho ancora una famiglia ed ho ancora me stessa, e la mia vita, fintanto che mi sarà concessa. 

Pertanto oggi riacquisterò una nuova agenda, probabilmente non sarà fitta di attività a lungo termine, ma ci sono così tante cose da fare anche nel breve termine ed io voglio viverle e vivere.

Non conto i giorni passati a rotolarmi sul divano pensando “dovrei leggere, dovrei studiare, dovrei rispondere ai messaggi, dovrei pulire, dovrei fare la spesa, dovrei …dovrei…tra 10 minuti”.

Credo sia normale concedersi un po’ di sana noia ma sono il tipo di persona che non si annoia mai, nemmeno quando sta ferma.

Ho persino rifuggito l’ascolto della musica quando in realtà sapevo mi avrebbe fatta stare meglio.

Il fatto è che talvolta è così facile crogiolarsi nel proprio malessere e tutto il resto sembra così dannatamente faticoso.

Ma pur essendo un individuo a se stante ho degli affetti a cui non posso negare il mio benessere perché infondo siamo tutti collegati e sono consapevole che la loro tranquillità dipende in parte da me. 

Non si tratta di forza, nemmeno di responsabilità, ma banalmente di amore credo.

Continuerò a sentire la mancanza di mio padre ma utilizzerò la sua fotocamera allo sfinimento.

Soffrirò la nostalgia di Tokyo fintanto che non potrò partire ma fino a quel momento ho i miei adorati libri e la musica, posso leggere, recensire e viaggiare con la mente.

Devo riprendere a studiare giapponese, non “da lunedì” ma da adesso. No, non devo: voglio.

Così come voglio riprendere a mangiare nella maniera in cui mi fa sentire davvero meglio.

Prendermi cura di me e volermi bene perché lo merito, e lo merita chi mi sta intorno, persone vicine ma anche clienti e conoscenti, partner lavorativi e persone con cui mi relaziono anche solo per bere un caffè al bar.

Con i miei tempi, i miei ritmi, non sarà mai quella che si alza la mattina presto per seguire una tabella di marcia serrata, non sono nemmeno in grado di ottimizzare i tempi e ho costantemente bisogno delle mie pause sigaretta.

Vorrei anche sistemare questo blog in modo che i vari post siano più facili da individuare ma non credo di esserne in grado, non da sola almeno…. La tecnologia ed io viaggiamo su due binari paralleli che difficilmente si incontreranno in questa vita, sono una di quelle che ha un IMac ed un IPhone perché sono rosa ma ne sfrutta una percentuale esigua del loro potenziale. 

Una cosa alla volta, convivendo con le soddisfazioni e la malinconia che fanno parte del mio essere viva. 

Lo Studio Alta sarà ancora davanti ai miei occhi un giorno e so già che si colmeranno di lacrime suscitando l’ilarità di chi sarà con me in quel momento. Pazienza, io sono quella che piange ai concerti.

Piango anche con i videogiochi, a settembre uscirà Lost Judjment e sto già covandolo!!

Credo che questo post sia il risultato di un connubio voce (di Yukiya Fujita ovviamente) e ice coffee (ho finalmente trovato un posto a Milano dove lo fanno esattamente come piace a me)

“Forse dovevi continuare a non ascoltare l’uomo nero così ci evitavi questo pippone”. 

Domani posterò la recensione di “Le Bugie del Mare”.

Mi rimangono ancora 4 giorni di vacanza ed ho intenzione di gustarmeli appieno!

Basta un caffè per essere felici – Toshikazu Kawaguchi

L’autore del pluripremiato “Finchè il caffè è caldo” torna a regalarci delle nuove magie accarezzando delicatamente il nostro cuore e, perché no, consolandolo e provando a darci spunti per superare momenti difficili, dolori irrisolti e perdite inconsolabili.

Se è vero che pur tornando nel passato il presente non può essere cambiato, è altresì vero che che il nostro futuro potrà essere diverso da quello che ci eravamo prospettati. Sembra un’equazione difficile eppure è tutto lì, nella durata di un caffè che ci permette.

Le regole sono rimaste invariate:

1. Sei in una caffetteria unica e speciale, aspetta che la Signora vada in bagno, lo fa una volta al giorno
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi e non alzarti dalla sedia.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

Potenzialmente questi libri potrebbero essere infiniti, e l’autore potrebbe raccontarci tante altre storie che si svolgono in questa piccola caffetteria dove il tempo assume un significato diverso, i cellulari non prendono ed ognuno ha una vita di cui ci mostra generosamente qualche sprazzo.

Personalmente sarei curiosa  di leggere altre storie e vedere come cresce la piccola Miki, ma nulla ci vieta di rileggere queste piccole perle se ne sentiamo la mancanza.

Proprio come il precedente, anche questo libro ci regala una boccata di positività pur commuovendoci, inoltre approfondiamo la conoscenza di chi vive e lavora all’interno del caffè, la verità circa la Signora in Bianco e molto altro.

Vi consiglio di leggere comunque prima “Finchè il caffè è caldo” se non lo avete ancora fatto, perché sebbene le vicende qui siano legate a persone diverse, andiamo davvero ad approfondirne di note!

Per tutte le età, per tutti coloro che hanno una piccola o grande ferita, per tutti, davvero, perché dopotutto, chi non ha di tanto in tanto bisogno di un buon caffè?

Autore:

Toshikazu Kawaguchi

Traduttore:

Claudia Marseguerra

Editore:

Garzanti

Collana:

Narratori moderni

Anno edizione:

2021

Aki Shimazaki – Terzo ciclo

Mi ero ripromessa di attendere la pubblicazione completa di questa nuova pentalogia di Aki Shimazaki, tuttavia l’estate spesso porta con se una bramosia tale di viaggiare laddove ora non è possibile andare… per cui lei ho ceduto ed acquistato quelli editati ad oggi!

Azami, Hôzuki e Suisen sono scorrevoli e delicati, perfettamente coerenti allo stile di lettura cui la Shimazaki ci ha abituati ( dopo Il peso dei segreti e Nel cuore di Yamato ), potremmo definirla minimalista ma onestamente credo che l’aggettivo che più si avvicina sia essenziale.

Nel momento in cui ci immergiamo nella lettura viviamo la parte di storia narrata dal punto di vista del protagonista, diverso ogni volta sebbene legato al precedente e successivo, in ogni libro ci facciamo un’idea degli altri personaggi ed è sorprendente, non appena apriamo il testo successivo, scoprire il pensiero e le motivazioni di qualcuno che avevamo giudicato diversamente, proprio perché raccontatoci da un’esperienza differente.

Quello che apprezzo da sempre in questa autrice è il suo non essere giudicante, il giudizio viene lasciato al lettore qualora abbia voglia di averne uno, ma non è strettamente necessario. Personalmente quando mi appresto alle sue letture preferisco immaginarmi seduta sulle sponde di un fiume mentre sfoglio delle immagini che non hanno bisogno del mio “che bella, che brutta, questa inquadratura l’avrei fatta diversamente” e via discorrendo. Semplicemente posso guardarle per quello che sono, prendere atto e custodire dentro di me una nuova esperienza che non ha bisogno di una valutazione esterna.

Spesso quando leggiamo un libro o guardiamo un film si può aprire un dibattito con se se stessi o con altri circa quali personaggi abbiamo preferito, quali azioni non abbiamo condiviso, quali scelte non ci hanno convinto: è perfettamente normale.

Tuttavia ho imparato che spesso chi racconta una storia non ci sta chiedendo un’opinione, “la nostra” non è sempre fondamentale, anzi forse prima di esprimere giudizi e dispensare consigli dovremmo di tanto in tanto fermarci un istante e domandarci se sia necessario. Evitare il conflitto, evitare di ergersi ad esperto di qualcosa, evitare di dare un peso alla nostra esperienza come se ne avesse più di altre.

Ed è con questo piccolo consiglio che invito alla lettura di questi libri, nell’ordine sopracitato.

I prossimi saranno disponibili ad ottobre 2021 e febbraio 2022, li attendo con ansia e vista la scorrevolezza di questi tre non escludo una rilettura dall’inizio, si lasciano veramente terminare nel giro di qualche ora.

Perché non sto raccontando nel dettaglio la trama? Perché a mio avviso non serve, e se deciderete di acquistarli basta scorrere la terza di copertina, se avete voglia di una lettura piacevole, scorrevole, ma non per questo dai temi leggeri, che vi tocchi alcune corde senza scuoterle ma accarezzandole, sicuramente è una scelta consigliata.

Ho letto in alcuni forum che spesso l’autrice viene considerata “rosa” e che si dedica a trattare e raccontare l’universo femminile; non me ne vogliano coloro che la pensano così, ma non sono d’accordo.

Non tanto perché talvolta i protagonisti narranti sono uomini, ma perché non mi pare che Aki Shimazaki non dia assolutamente un’importanza o un approfondimento diverso a seconda del sesso, anzi, la trovo sempre obiettiva nel descrivere azioni e sentimenti, di chiunque essi siano.

Detto questo, le copertine tendono al rosa ma se siete uomini non perdetevi queste piccole perle!