Nostalgia [coming] out

La nostalgia non è necessariamente un sentimento sfumato, talvolta arriva come uno schiaffo ma in quel momento non la si riconosce come tale. 

In questi mesi, in cui i miei post si sono limitati a recensioni di alcuni libri letti, sono accadute molte cose, sia a livello personale che lavorativo, ovviamene ne sono successe a livello mondiale e chi segue questo blog sicuramente ha in comune la passione o la curiosità nei confronti del Paese del Sol Levante che, come sappiamo, ha ormai chiuso da oltre un anno i suoi confini turistici.

Quando sono partita per quattro fugaci giorni a gennaio 2019 ho messo il mio decissattesimo timbro ma avevo già in tasca un biglietto per fine aprile, certo non pensavo che si sarebbe trasformato in un voucher che ad oggi non so ancora quando potrà essere utilizzato.

Mentre scrivo mi lascio trasportare dalle note del mio artista preferito, pertanto non so in quale direzione potrà virare con esattezza il contenuto di questo articolo, vediamola come uno sfogo temporaneo.

Mi sono arrabbiata così tante volte in questi mesi, incapace di contrastare il senso di frustrazione, ed altrettante mi sono detta “Adesso è così, non puoi cambiare lo stato delle cose ma puoi vivere il momento e accettare, ottimizzarlo senza aspettare necessariamente qualcosa che potrebbe succedere”.

Mi sono ritrovata a pianificare il “prossimo viaggio” almeno una decina di volte, pensando che sarei dovuta assolutamente tornare in quel caffè nascosto di Harajuku e poi a cena di fronte al palazzo del governo a Shinjuku. 

Ho pianificato giri mirati agli acquisti inerenti il lavoro, gli eventi ai quali partecipare ed eventuali piccoli investimenti da effettuare. 

Ho pianificato persino il trattamento lisciante alla keratina da applicare prima di partire per evitare che l’umidità mi rendesse prossima ad un cagnolino bagnato al primo sentore di umidità.

Gli incontri con gli amici che non vedo da tantissimo tempo, la mia “nipotina” acquisita ha un anno mezzo ed io avrei dovuto conoscerla e spupazzarmela prima dei tre mesi, adesso trotterella ed è una pagnotta. 

Normalmente a settembre pianifico il calendario sia lavorativo che i viaggi da ottobre e per tutto il primo semestre dell’anno successivo.

La realtà è un’agenda vuota. 

Un’agenda intonsa che pesa quanto una Smemoranda dei tempi del liceo pur essendo priva di contenuto. 

Credo che in tutti questi mesi ciò che più mi abbia destabilizzata sia stata proprio questo, unito al fatto che il mio lavoro è essenzialmente sociale, pur svolgendolo in solitudine e tranquillamente nel tanto in voga “smart working” per il 70 per cento, vi è tutta una parte legata ai meeting ed eventi che è venuta totalmente a mancare. Capire cosa vogliano i clienti e non potercisi relazionare personalmente si è rivelato molto complesso.

Ho cercato di sorridere e pensare almeno una volta alla settimana che i problemi seri erano altri, che comunque sono nata in una delle parti più fortunate del mondo e che anche circa l’epoca non ho effettivamente nulla di cui lamentarmi seriamente.

Si certo, mi mancano i concerti, tuttavia non saranno mica queste le serie preoccupazioni, semmai grattacapi da poco.

Così, a settimane alterne l’umore virava da una serena accettazione ad una scalpitante sofferenza.

“Smettila di pianificare, aspetta e poi farai”

“Si ma dai, almeno l’evento di settembre posso metterlo giù”.

Fino al 3 di giugno, mattina in cui guardavo gli orari dei voli da prenotare a mia madre che avrebb raggiunto mio padre in Sicilia per il periodo estivo.

Pregustavo quel 3 giugno da settimane, avrebbero rilasciato finalmente il nuovo film di Sailor Moon su Netflix e avrei passato una giornata fantastica con i miei affetti più cari tra cui un amico meraviglioso di lunga data e che ho incontrato quasi 20 anni fa proprio grazie al comune amore nei confronti dell’animazione.

Un pranzo alla mia amata rosticceria giapponese G81 di Corso Garibaldi e una serata a base di strong al pompelmo rosa e Sailor Moon.

La sera la chiamata di mia madre e l’improvvisa scomparsa di mio papà. Il giorno dopo ero in volo verso Catania con il cuore irrimediabilmente spezzato.

Se dicessi di stare bene adesso mentirei, tuttavia ho ancora una famiglia ed ho ancora me stessa, e la mia vita, fintanto che mi sarà concessa. 

Pertanto oggi riacquisterò una nuova agenda, probabilmente non sarà fitta di attività a lungo termine, ma ci sono così tante cose da fare anche nel breve termine ed io voglio viverle e vivere.

Non conto i giorni passati a rotolarmi sul divano pensando “dovrei leggere, dovrei studiare, dovrei rispondere ai messaggi, dovrei pulire, dovrei fare la spesa, dovrei …dovrei…tra 10 minuti”.

Credo sia normale concedersi un po’ di sana noia ma sono il tipo di persona che non si annoia mai, nemmeno quando sta ferma.

Ho persino rifuggito l’ascolto della musica quando in realtà sapevo mi avrebbe fatta stare meglio.

Il fatto è che talvolta è così facile crogiolarsi nel proprio malessere e tutto il resto sembra così dannatamente faticoso.

Ma pur essendo un individuo a se stante ho degli affetti a cui non posso negare il mio benessere perché infondo siamo tutti collegati e sono consapevole che la loro tranquillità dipende in parte da me. 

Non si tratta di forza, nemmeno di responsabilità, ma banalmente di amore credo.

Continuerò a sentire la mancanza di mio padre ma utilizzerò la sua fotocamera allo sfinimento.

Soffrirò la nostalgia di Tokyo fintanto che non potrò partire ma fino a quel momento ho i miei adorati libri e la musica, posso leggere, recensire e viaggiare con la mente.

Devo riprendere a studiare giapponese, non “da lunedì” ma da adesso. No, non devo: voglio.

Così come voglio riprendere a mangiare nella maniera in cui mi fa sentire davvero meglio.

Prendermi cura di me e volermi bene perché lo merito, e lo merita chi mi sta intorno, persone vicine ma anche clienti e conoscenti, partner lavorativi e persone con cui mi relaziono anche solo per bere un caffè al bar.

Con i miei tempi, i miei ritmi, non sarà mai quella che si alza la mattina presto per seguire una tabella di marcia serrata, non sono nemmeno in grado di ottimizzare i tempi e ho costantemente bisogno delle mie pause sigaretta.

Vorrei anche sistemare questo blog in modo che i vari post siano più facili da individuare ma non credo di esserne in grado, non da sola almeno…. La tecnologia ed io viaggiamo su due binari paralleli che difficilmente si incontreranno in questa vita, sono una di quelle che ha un IMac ed un IPhone perché sono rosa ma ne sfrutta una percentuale esigua del loro potenziale. 

Una cosa alla volta, convivendo con le soddisfazioni e la malinconia che fanno parte del mio essere viva. 

Lo Studio Alta sarà ancora davanti ai miei occhi un giorno e so già che si colmeranno di lacrime suscitando l’ilarità di chi sarà con me in quel momento. Pazienza, io sono quella che piange ai concerti.

Piango anche con i videogiochi, a settembre uscirà Lost Judjment e sto già covandolo!!

Credo che questo post sia il risultato di un connubio voce (di Yukiya Fujita ovviamente) e ice coffee (ho finalmente trovato un posto a Milano dove lo fanno esattamente come piace a me)

“Forse dovevi continuare a non ascoltare l’uomo nero così ci evitavi questo pippone”. 

Domani posterò la recensione di “Le Bugie del Mare”.

Mi rimangono ancora 4 giorni di vacanza ed ho intenzione di gustarmeli appieno!

Non sono multitasking.

img_6676
Non riesco a tenere la musica di sottofondo, non ne sono mai stata capace.

Sin da ragazzina, quando i miei compagni di scuola mi dicevano di studiare con la radio o una cassetta nel mangianastri. Non che non ci abbia provato, ma immancabilmente finisco col focalizzarmi su uno degli strumenti captati dalle mie orecchie (nel 99% dei casi sulla voce).La Voce è sempre stata lo strumento che maggiormente fa vibrare le corde della mia anima, indipendentemente dal genere musicale. Ho sempre seguito pochi artisti anche per questo, se la voce non mi crea emozioni dopo un paio di brani mi annoio.


Andare a ballare in discoteche con musica new wave o rock mi è sempre piaciuto ma nel momento in cui partiva un brano particolare mi ritrovavo puntualmente a cantare e ballare da sola.


Non posso leggere se ascolto quello che mi piace, non posso concentrarmi sul lavoro, su un pacco da fare; mi capita di scendere alla fermata sbagliata dell’autobus o di non salirci se mi passa davanti.Se sono in giro a piedi  faccio attenzione ai semafori per puro spirito di sopravvivenza ma non mi rendo conto di essere arrivata. Una volta una bambina mi ha investita col suo monopattino.Posso cucinare qualcosa di semplice che so fare in automatico, ma non sono in grado di seguire una ricetta nuova o complessa.

Non sono multitasking.


Ieri per esempio mentre tornavamo da una gita in auto è partita una playlist dei Kαin e ho salutato il navigatore, la mia testa è tornata a quando ho ascoltato quel brano per la prima volta dal vivo, alla gestualità tipica durante quei concerti, a cantare e gli occhi inumiditi hanno faticato a trattenere un pianto che in quel momento era di pura nostalgia, accompagnato dall’incertezza del non sapere quando sarò nuovamente in grado di vivere un’esperienza del genere.

Capita anche a voi?

Cosa c’entrano queste parole con Tokyo? 

A Tokyo finisco con il dormire veramente poco, sopratutto i primi giorni quando sono ancora sopraffatta dall’adrenalina, una sera, saranno state le 23, mi sono infilata gli auricolari e sono uscita di casa. Ho percorso la deserta stradina di Shin-Okubo dove alloggiavo in quel periodo, ho poco senso dell’orientamento per cui faccio sempre le stesse strade per non perdermi. Eppure rimebro perfettamente “quella” sera in particolare ed i dettagli.  Mentre ascoltavo la musica osservavo distrattamente le vending machine di bibite ho controllato di avere in borsa sigarette, accendino e posacenere portatile, alla fine della stradina c’era un negozio di fiori chiuso ma sulla strada principale era quasi tutto aperto, ho sorriso al poliziotto ed ho attraversato la strada per raggiungere l’altro lato della strada ed entrare al seven per comprarmi una birra fresca ed un accendino. Di fianco alla stazione JR di Shin Okubo c’era una grande smoking area, non ho percepito il rumore della lattina che stappavo e il click d’accensione dell’accendino, ho tolto un auricolare e l’ho riacceso due volte. Durane quella singola sigaretta ho visto passare due treni sopra di me, poi mi sono incamminata per la strada che conduce a Shinjuku est.

E’ la strada che costeggia la ferrovia, passano pochissime auto, c’è una piccola corsia destinata ai pedoni ed un paio di ristoranti coreani. Mi piace fare quella strada, è tranquilla e so esattamente dove sbuca, so anche che le altre parallele portano più o meno nello stesso punto ma ogni volta che ne ho imboccata una mi sono persa. Pertanto quella sera, dato che stavo ascoltando musica non potevo permettermi di ritrovarmi chissà dove. Il profumo pungente del curry indiano mi ha indicato che la strada era quasi finita, ho attraversato il sottopassaggio e mi sono fermata alla smoking di fronte allo Yunika Vision dove stavano trasmettendo un estratto di un concerto di Shogo Hamada. Mi sono guardata intorno, la luce abbagliante dello Yunika si mischiava con quella del Pachinko sull’angolo, c’era tanta gente, come sempre. Non ho smesso di cantare mentalmente quello che ascoltavo, ho pensato che forse un riso al curry non sarebbe stato male, o una soba. Mi sono incamminata verso Kabukicho e la folla andava intensificandosi, nulla di strano, ma poi un altro profumo ha iniziato a solleticare le mie narici, qualcosa alla piastra forse, si stava svolgendo un matsuri. Sono rimasta affascinata, sicuramente ci doveva essere confusione ma mi sono ritrovata in un film dove la colonna sonora era quella del mio iPhone. Ho acquistato dei takoyaki e mi sono seduta sui gradini del tempio, che strano questo takoyaki, ma cosa c’è dentro? Non posso sputarlo per controllare…manda giù, scotta, poi ci penserai e cercherai di capirlo dal prossimo, mi serve una birra. Acquisto una birra, 600 yen, ma come, così tanto? La stessa birra al combini costa 328, pazienza, non posso certo andare al seven più vicino poi tornare qui, si raffreddano i takoyaki. Mi risiedo sui gradini e guardo le botti vuote di sake appese intorno a me pensando “che bei regali”, mi cade l’occhio su un baracchino di palloncini di One Piece e Doraemon, di fianco hanno delle chocobanana che mi fanno paura, le mele candite però sono buone. Ah, ma ho i takoyaki, adesso scottano meno, posso mordere e vedere cosa c’è dentro. Una nuvola di fumo mi investe, due ragazzi si siedono di fronte a me con delle seppie giganti fumanti, faccio rotolare il takoyaki nella salsina e lo addento piano, come diavolo fai ad avere ancora la temperatura della lava? Ma resisto e lo osservo, c’è un uovo! Cosa ci va un uovo qui dentro? Com’è piccolo poi! Buono, ah, non è sodo, è barzotto, ma questi takoyaki sono una bomba! Faccio un sorso di birra e mangio il terzo, questa volta in maniera consapevole. Sospiro contenta, skippo la traccia che è appena partita perché si, la band è sempre quella ma la canta il chitarrista e non mi fa impazzire. Faccio un paio di foto e vado alla smoking area del matsuri, abbandono i takoyaki rimasti nel cestino e faccio un paio di foto al tempio, da qui si vede meglio, finisco la birra mentre fumo e noto il baracchino dell’amasake. Che buono, ma non fa così freddo, speriamo che vendano tanto lo stesso, quel signore era stato così gentile l’anno scorso mentre mi porgeva il bicchierino di carta bollente invitandomi a stare attenta a non scottarmi. Ormai sono in giro, potrei andare al Loft, controllo se ho con me carta e penna, si le ho, bè in effetti potrei farci un salto, tanto è qui dietro, devo solo uscire dalla parte giusta del Matsuri. Se lì c’è la chocobanana e più avanti quello delle mele candite sono dalla parte giusta.  Forse so un un pò di pesce grigliato e fritto ma tanto non devo incontrare nessuno. Forse se passerò tra le chocobanane, la frutta candita e lo zucchero filato avrò un odore diverso. Avevo messo il profumo prima di uscire? Figurati, non mi sono nemmeno truccata, ho infilato i primi jeans che ho trovato e gli occhiali da sole. Li ho ancora su? Cavoli Tokyo è proprio illuminata a giorno stasera, non me ne ero resa conto. Ah, i pantaloni sono strappati, pazienza, tanto sotto ho i boxer. Vado a farmi un drink poi torno a casa, si, tanto ormai sono fuori e mi sono svegliata. 

L’unica cosa che posso fare, mentre ascolto musica, è scrivere.

Non scrivere recensioni, per quello mi serve il silenzio assoluto, ma lasciare correre i miei pensieri e le mie emozioni come in questo momento. Non riesco a fare altro. Forse per quello faccio un uso che è più un abuso dei puntini di sospensione (ma sto cercando di controllarmi). Eppure, per qualche strano motivo, alcune cose come quello spezzone di serata appena raccontata rimangono come disegnati perfettamente nella memoria. Non solo le cose che ho visto ma i pensieri, e posso garantire che la mia memoria non è assolutamente degna di nota.